L’alleanza terapeutica: quando la parola mette in relazione

Noi pensiamo che le parole siano chiare e univoche, cioè portino un unico significato capibile per tutti. Non è così! Quando un medico parla, ciò che viene recepito può essere alterato da precedenti esperienze, dalla mancata conoscenza di un termine tecnico, dal mondo delle emozioni che fa cogliere e amplificare un concetto.

Quando incontriamo per la prima volta un paziente e la sua storia, attraverso le parole della mamma o del papà, non raccogliamo solo degli eventi e delle cose successe, ma anche la loro interpretazione. Sta a noi partire da lì per cercare di dare il nostro contributo ad una esistenza. L’ascolto apre ad una relazione.

La famiglia che si sente ascoltata e capita accetterà di camminare con noi con maggiore fiducia, in quella che viene chiamata alleanza terapeutica, cioè quel sentirci uniti nel fare le cose giuste per il loro figlio. 

L’ascolto quindi deve essere rispettoso ed accogliente, perché l’altro si senta libero di raccontare la sua verità. A noi la pazienza di partire da quella verità per costruire una verità più nitida e più utile a proseguire il cammino.

Nelle situazioni più faticose, mentre cerchiamo di ascoltare, con le orecchie e con il cuore, ci accorgiamo che la verità dell’altro è un’altalena tra il sapere tutto e lo sperare tutto. Ritroviamo le parole del medico precedente, di una consapevolezza già completa, ma talmente vivida che ha bisogno del moschettone della speranza che ti permette di procedere anche nei percorsi più difficili e pericolosi. Lasciare il nodo di sicurezza dove agganciare il moschettone nelle pareti più ripide della vita è doveroso, nell’equilibrio di non alimentare false speranze.

Ci sono delle volte in cui si rimane prigionieri di un momento, di una cosa detta, di una consapevolezza che ferisce l’altro. Si diventa la personificazione di chi infrange il sogno di una mamma e di un papà sul loro bambino. Essere consapevoli di questo e rispettare il dolore dell’altro è un’altra cosa che si impara con il tempo e le esperienze.

Spetta a noi operatori comprendere le situazioni e cosa è più opportuno dire e cosa è meglio affrontare con la giusta gradualità, capire le capacità di resilienza della famiglia per incentivarla.

Accogliere tutto questo è faticoso, significa accettare e portare in sé parte del dolore dell’altro, ma questo è nella missione del lavoro di un operatore sanitario.

Sandra Strazzer
Responsabile Area Neurofisiatrica
IRCCS Medea – La Nostra Famiglia