C’era una volta… le parole per dirlo ai bambini

La fiaba può diventare strumento di resilienza e aiutare anche i più piccoli a superare gli ostacoli. Il contributo di due interessanti tesi di laurea.

 

UN’ARMA PER AFFRONTARE LA PANDEMIA

Incertezza, cambiamento e adattamento. Queste sono alcune caratteristiche che dominano l’attuale periodo storico che vede come protagonista il virus Covid-19. La pandemia ha messo alla prova l’intera popolazione con conseguenze significative sulla salute, l’accesso ai servizi e la cura. Seppur i bambini siano stati meno colpiti dal punto di vista medico-sanitario, è impossibile pensare che la loro crescita e i loro apprendimenti non abbiano modificato il proprio cammino per rispondere alle restrizioni imposte. Numerose sono state le conseguenze negative riscontrate anche sul piano psicologico, relazionale ed emotivo causate dallo stravolgimento delle loro routine e che affermano che la pandemia è stata, e tutt’ora è, un fattore di rischio per lo sviluppo neuroevolutivo di bambini e adolescenti (Cusinato, et al.,2020).

La resilienza, ovvero la capacità di adattarsi con successo alle sfide che ostacolano il proprio benessere (Masten, et al.,2020), è certamente un’arma essenziale per affrontare tutto ciò e diventa pertanto indispensabile promuoverla in età evolutiva. Risulta quindi fondamentale il sostegno di tutti i caregiver quali genitori, educatori e il ruolo peculiare del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (Tnpee) che, grazie alle sue conoscenze sullo sviluppo evolutivo tipico e atipico e all’intervento neuro e psicomotorio pensato ad hoc per ogni bimbo, sostiene le competenze resilienti.

Ma i caregiver come possono supportare la resilienza dei bambini in una quotidianità minacciata da imminenti fattori di rischio? Trovare le giuste parole davanti a continue destabilizzazioni non è sicuramente facile e pertanto una strategia può essere l’uso di strumenti narrativi-simbolici come, ad esempio, la fiaba dove solitamente si realizzano i fattori resilienti. La fiaba, condivisa a livello emotivo e narrativo, guida i bambini a comunicare ed elaborare le loro emozioni, specialmente quelle negative, promuovendo, grazie anche all’aiuto dell’adulto, la costruzione del processo di resilienza.

Partendo da queste premesse, nel periodo pandemico abbiamo realizzato un progetto che si è avvalso della fiaba, nello specifico “Il lungo viaggio di Covid” (Benincasa, et al.,2020) che affronta la problematica della pandemia e ne fornisce una chiave di lettura e di risoluzione.

La fiaba è stata proposta ad alcuni bambini in età scolare per studiare le loro competenze resilienti ed emotive-adattive, così da trovare la giusta strada per sostenerli attraverso un progetto neuro e psicomotorio di tipo preventivo finalizzato a promuovere fattori protettivi per il loro sviluppo. Sono stati reclutati 79 bambini a sviluppo tipico tra i 6 e gli 8 anni che hanno letto la fiaba a scuola con le insegnanti (prevenzione primaria) e un bambino, già individuato come soggetto a rischio, che ha letto il libro nel contesto familiare con la guida del Tnpee (prevenzione secondaria). Dopo la lettura, per ogni bimbo sono stati previsti il disegno e il racconto di un personaggio o episodio letto, che sono stati poi rielaborati dalla Tnpee come risultati del percorso.

Grazie alle potenzialità dello strumento narrativo e alle analisi dei risultati è emerso che il 65% del campione si è mostrato resiliente, trovando strategie per risolvere i problemi emergenti nel libro riguardanti la pandemia e vissuti in prima persona anche dai bambini stessi. Il restante 35%, tra cui il soggetto a rischio, ha invece manifestato una resilienza immatura per affrontare gli ostacoli e un bagaglio emotivo negativo (in particolare ansia e paura) che evidenziano fattori di rischio per il loro benessere psico-fisico, richiamando attenzione e azioni concrete da parte del mondo educativo.

Pertanto la fiaba si è mostrata una straordinaria risorsa nelle mani dei caregiver da sfruttare in ambito educativo e terapeutico per aiutarli ad analizzare le competenze resilienti dei bambini, evidenziando quelle più compromesse. Servono percorsi, azioni concrete e specialisti del neurosviluppo per offrire ai bambini spazi, tempi e opportunità per dare voce al proprio mondo interiore e ai bisogni più segreti e fragili, lanciando così una sfida a chi si occupa di età evolutiva per rispondere a tali bisogni, assicurando e promuovendo uno stile di vita improntato sulla resilienza.

Giorgia Quieti
Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva

 

UNO STRUMENTO PER I BAMBINI CON CEREBROLESIONE ACQUISITA

Il progetto della mia tesi è nato durante lo svolgimento del tirocinio del terzo anno di università, presso il reparto Cerebrolesioni Acquisite (GCA) dell’IRCCS Medea di Bosisio Parini.

Qui ho incontrato bambini senza patologie pregresse che, in seguito ad un trauma cranico, hanno sviluppato deficit sensoriali, motori, cognitivi e psicologico-comportamentali. In base all’origine e alla sede della lesione cerebrale acquisita, si possono avere dei quadri clinici altamente variabili che implicano la singolarità di ciascun caso e di conseguenza l’impostazione di percorsi riabilitativi individualizzati, su misura del singolo paziente. Inoltre, l’iter riabilitativo che i bambini devono affrontare, prevede una lunga fase di ospedalizzazione e numerosi interventi riabilitativi.

Inevitabilmente sono stata colpita dal coraggio e dalla forza con cui questi piccoli pazienti reagiscono e combattono ogni giorno per tornare a respirare la normalità e ho deciso di approfondire la mia conoscenza sulle Cerebrolesioni Acquisite analizzando, nello specifico, i percorsi riabilitativi dei bambini con GCA tramite la letteratura scientifica e la mia esperienza di tirocinio. Ne è emerso che ci sono delle criticità comuni a tutti i percorsi, cioè dei momenti difficili che tutti i bambini devono affrontare indipendentemente dal tipo di esiti acquisiti. Basti pensare all’accidentalità dell’evento traumatico, che succede all’improvviso stravolgendo completamente la vita del bambino il quale, da un giorno all’altro, non riesce più a fare le stesse cose di prima; o ancora, alla lontananza da casa e quindi dagli affetti e dagli ambienti di vita quotidiani come la scuola; infine, ma non meno importante, all’acquisizione di consapevolezza circa i deficit acquisiti e all’accettazione di quanto successo.

Questo approfondimento mi ha permesso di costruire, successivamente, uno strumento educativo che potesse essere di supporto a questi bambini nell’affrontare il complesso percorso di ospedalizzazione: la fiaba “Storia di un coniglio coraggioso”. Il coniglietto Charlie ha una zampa rotta e la memoria corta in seguito ad un incidente e deve scalare una Montagna per raggiungere un Orso che lo aiuterà a guarire. Durante la scalata incontra numerosi “animali-personaggi” che gli danno dei consigli e degli strumenti necessari per poter arrivare in vetta. Quando ci arriva però scopre, con amara sorpresa, che l’Orso non gli darà una zampetta nuova né gli farà riacquisire la memoria, ma lo aiuterà a riflettere sulla determinazione e il coraggio avuti nell’impresa appena compiuta. “Solo chi ha un cuore pieno di coraggio e conosce le proprie potenzialità riesce a scalare la Montagna” è il messaggio finale della storia. Fuori dalla metafora, il bambino con GCA incontra numerose figure medico-sanitarie che lo aiutano nella riabilitazione dei deficit acquisiti ma anche a prendere consapevolezza circa la propria condizione e le proprie capacità, con l’obiettivo che vengano coltivate e potenziate nel tempo per poi essere sfruttate come risorse preziose una volta usciti dall’ospedale.

Ho scelto questo strumento perché penso sia di facile comprensione per i bambini e catturi la loro attenzione, facilitando la creazione di un rapporto bambino-operatore professionale utile ad accrescere il successo degli interventi riabilitativi. Le parole sono gli elementi che costituiscono la fiaba che ho costruito. Attraverso le parole che favoriscono l’uso dell’immaginazione, il bambino si può immedesimare nel protagonista e può comprendere gradualmente quanto gli stia succedendo, oltre che acquistare fiducia in sé stesso e nelle proprie potenzialità. Mi piace pensare che le parole della fiaba possano aiutare il bambino a rinascere, a riscoprirsi diverso, ma non per questo non in grado di affrontare la vita, bensì di guardare il futuro da una prospettiva differente.

Chiara Maggioni
Educatrice professionale