L’amore non è spiegabile con il linguaggio della normalità

“La vita che sto vivendo è piena di affetto profondo”: una mamma ci insegna che tutti siamo portatori di bisogni, ma siamo anche e soprattutto una “risorsa” reciproca.

Non provo particolare rimpianto per ciò che ho vissuto prima della mia “rinascita”, semplicemente perché la mia vita attuale ha il suo perché.

Cosa significa avere un figlio con disabilità? E’ ben difficile da spiegare. Ogni tanto qualcuno, che non l’ha mai visto personalmente, mi chiede che problemi ha Matteo (ora diciassettenne). Io di solito rispondo con robusta essenzialità e concisione: “Non cammina, non vede bene e non parla”. Ma è solo un modo diretto per riassumere la situazione. Sì, perché avere un figlio “con certe caratteristiche” ti porta quasi in una realtà parallela, dove tutto ciò che è “diverso” diventa la quotidianità. Come si può far comprendere appieno tutto questo? Un figlio così non lo puoi spiegare, lo puoi solo “vivere”. La mia rinascita coincide con questa nuova vita: gran parte delle energie dedicate ad una persona “disabile”. Sentire quest’ultimo termine a volte può rattristare o addirittura spaventare. Ma le parole non sono altro che contenitori astratti e vuoti, dentro i quali ci possiamo inserire ciò che vogliamo: io nelle parole “disabile, diversamente abile, tetraplegico”, ci metto dentro mio figlio… è per questo che esse diventano poi parole concrete, parole relative a tutto un mondo… un mondo pieno di un amore che non è spiegabile con il linguaggio della normalità.

Come posso rimuginare tanto sulla mia vita precedente se quella che sto vivendo adesso è così piena di affetto profondo! E’ una rinascita che stempera in qualche modo il ricordo del passato. Se io avessi troppi rimpianti non sarei neanche sufficientemente concentrata per affrontare quella quotidianità “diversa” di cui parlavo prima. Ecco perché preferisco guardare avanti, non troppo, giusto un passo. Ma non solo “avanti”: con la mia rinascita ho imparato anche a guardarmi di più “intorno”. Accanto a noi c’è un universo da vedere e molto da condividere. Siamo talmente in tanti a vivere quotidianità diverse che quasi quasi questa diversità scompare e ci unisce tutti. Con l’inizio della mia seconda vita non ho solo realizzato che ci sono tante persone che affrontano continuamente problemi come i miei, ma ho anche iniziato a percepire la loro realtà e la mia come fossero veramente indistinte. Da questa prospettiva è stato quasi naturale muovere il passo verso la fondazione di un’associazione a supporto di chi è in situazione di difficoltà (non solo famiglie di persone con disabilità, ma anche chiunque abbia una problematica a cui far fronte). Perché tutti noi siamo portatori di bisogni, ma contemporaneamente siamo anche e soprattutto una “risorsa” reciproca. Se rinascessimo un po’ tutti, potremmo riempire di significato tante altre parole che contano davvero per noi stessi, per i nostri figli speciali e per tutta la comunità.

Dina Vaccari