Don Luigi ci sfida ancora oggi: senza la carità saremmo meno umani

Il vescovo Franco Giulio Brambilla a Saronno ha celebrato il 100° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del fondatore de La Nostra Famiglia e dell’istituto secolare delle Piccole Apostole della Carità.

«Il dono della carità e il servizio della cura esigono cristiani coraggiosi che lo facciano bene e agiscano insieme, senza cullarsi sui traguardi raggiunti, anzi ripartendo con lo spirito e lo slancio della carità dei primi cristiani».

Nell’omelia della celebrazione per il centenario di ordinazione sacerdotale del beato Luigi Monza, che si è tenuta il 27 settembre presso Chiesa prepositurale dei santi Pietro e Paolo a Saronno, il vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla richiama la grande famiglia del Beato ad un “ritorno alla sorgente” e ad una sfida creativa: quali rami potare, quali alberi concimare e quali nuovi innesti fare per ravvivare con coraggio il suo carisma?

«Quando non si ha nulla, ci si più permettere di fare anche ciò che sembra impossibile; quando come oggi si ha molto, forse troppo, si tagliano i mezzi e le risorse e si può burocratizzare anche il gesto della carità. Don Luigi ci sfida ancora oggi: non bisogna rassegnarsi, occorre custodire la nostra grande Opera, è necessario far brillare l’ethos della carità. Perché senza di esso noi saremo meno umani».

L’ideale delle origini
Luigi Monza visse il periodo più drammatico del secondo conflitto mondiale e della ripresa dell’Italia dalle macerie della guerra: entrò in seminario a 18 anni e affrontò il suo impegno pastorale prima con i giovani della parrocchia di Vedano Olona, in seguito presso il santuario di Saronno, poi come parroco a San Giovanni di Lecco; fondò infine l’Istituto Secolare Piccole Apostole della Carità e l’Associazione La Nostra Famiglia, che iniziò a prendersi cura di bambini con disabilità in Italia e all’estero.

Monsignor Brambilla fa memoria della linfa vitale del carisma del Beato a partire dalle tre parole che ritornano più spesso nei suoi scritti: l’ideale, le radici e l’opera. «Sembra che l’inizio sia stato povero e piccolo e ci voleva una fiducia sconfinata nella Provvidenza per andare avanti». Il vescovo di Novara si sofferma quindi non sulle difficoltà degli inizi, ma sulla bellezza dell’origine: «non lo spaventano gli impegni della casa di Vedano, ma poi cerca anche una casa vicina a Lecco, e dopo una casa al mare, quasi facendo passare tutta la Riviera ligure per scovare un posto salubre per i suoi bambini. Ma soprattutto gli interessa che le sue sorelle cerchino la volontà del Signore, mostrando la potenza dirompente dell’ideale, della communio vitae apostolica».

La santa incoscienza degli inizi
Don Luigi si rivela quindi ricercatore di “buone vocazioni”. «Di sistemazioni di comodo non vuol neppur sentire parlare», prosegue monsignor Brambilla: «erano anni in cui era facile cercare una nicchia persino nella vita consacrata, ma don Luigi a tutti ricorda la bellezza, ma anche la durezza della vita apostolica».

Don Monza sa che l’inizio è come il seme caduto per terra e che deve marcire per portare molto frutto: «questo era un topos in voga nella predicazione di allora, ma egli non gli conferisce solo un valore ascetico, bensì ne esalta la forza pasquale. Plasmare il carattere, vivere nella dedizione, spendersi senza riserve, era per don Luigi finalizzato al grande ideale della carità dei primi cristiani. Se la rinuncia non invitava le persone a esclamare “ecco com’è bello vivere e operare insieme”, a nulla poteva servire. I santi – prosegue il Vescovo Brambilla - non conoscono il peso delle cose, ma pesano la forza dell’amore. Sanno che il “nulla degli inizi” è più fecondo della magnificenza dei molti mezzi, che pure ci vogliono, e per procurarsi i quali essi hanno persino una santa incoscienza».

L’opera e i volti
L’Opera per don Luigi è vivere la carità dei primi cristiani: «non si tratta anzitutto di ciò che si può fare, ma di ciò che si deve essere. Se questa è l’Opera, allora per le opere si può essere elastici: se all’inizio si pensava di fare una cosa, quando i segni dei tempi te ne presentano un’altra, tu hai il cuore libero per stare di sentinella sugli “avamposti della carità”». È così che nascono le Piccole Apostole della Carità e poi La Nostra famiglia, le opere nei paesi esteri, la presenza di sorelle di vita consacrata individuale in altre iniziative pastorali, la risposta a servizi parrocchiali e non. «In una parola, l’Opera è chiamata a dare volto “pratico” alla carità dei primi cristiani, le opere possono essere germogli che o sono un piccolo segno nel mondo moderno o magari si sviluppano in rami frondosi.

Per questo l’opera per don Luigi ha un volto, anzi la lunga schiera di volti dei suoi bambini. La cura del corpo e della mente dei bimbi è per lui la stessa cura del corpo del Signore. È cura della persona, e vicinanza ai genitori, è segno vivo e concreto della carità».