Danzare la vita
“Aiuto, comprensione e fiducia sono alla base di un modello funzionale e umano. In questo senso la danza è una bella metafora della società”.
Intervista a Roberto Bolle.
di Cristina Trombetti
Foto: Credit Andrej Uspenski
Una vita dedicata all’arte, al corpo e al movimento, Roberto Bolle è oggi il simbolo della danza classica. E’ primo ballerino étoile della Scala, Principal Dancer dell’American Ballet Theatre di New York e Guest Artist del Royal Ballet di Londra e si è esibito davanti ai grandi del mondo. Aperto alle contaminazioni di culture e di generi, ha diffuso la danza nelle piazze, è impegnato nella difesa dei diritti umani e dal 1999 è ambasciatore Unicef.
Guardandolo, ci si rende conto che la danza può aiutare lanciare messaggi di pace e che la bellezza, se proprio non riuscirà a salvare il mondo, quantomeno ci andrà molto vicino. E il pensiero subito corre a quel grande teologo che è stato don Luigi Serenthà, quando diceva che sciogliendo le mani, muovendo i piedi e seguendo la musica si poteva “danzare la vita”.
Roberto, in effetti la danza è una bella metafora della vita… Partiamo dalle mani: quando uno danza si muovono alla ricerca di altre mani e creano un rapporto di grandissima fiducia e affidamento…
Non ci si pensa mai, ma la fiducia è fondamentale per noi ballerini che ci affidiamo in molti passi gli uni agli altri. Fondamentale per la buona riuscita di uno spettacolo, ma anche per la sicurezza delle e dei partner. È un bella metafora della società, dove l’aiuto e la comprensione reciproca e anche il bisogno di potersi fidare, sono, o dovrebbero essere alla base di un modello funzionale e umano.
E ora i piedi, cioè il cammino: tu hai portato la danza classica nelle piazze, un passo che nessuno aveva mai osato prima…
Non si può dire che nessuno lo aveva mai fatto perché prima di me altri grandi artisti hanno fatto molto per portare la danza a tutti. Cito solo due nomi, Nureyev e Carla Fracci. Ma di certo quella di portare fuori dalla nicchia dei grandi teatri e alla portata del cuore del grande pubblico è da sempre la mia filosofia, quasi direi una missione di vita. La danza si alimenta con la vita contemporanea, può raccontarla, alleviarla, arricchirla di molta bellezza.
Infine la musica: qui forse l’aspetto corale e di contaminazione è ancora più evidente. La danza e la musica aiutano a superare le barriere?
Assolutamente sì perché fanno breccia in quanto di più profondo e ancestrale risuona in tutti noi.
La danza spesso è percepita come qualcosa di distante, eppure appartiene all’uomo da sempre. Oltre a emozioni e sentimenti, pensi che possa trasmettere anche una forma di spiritualità?
Certamente non a caso si trova la danza come forma di dialogo con le divinità sin dai tempi più antichi. Inoltre la danza è un’arte che insegue dei canoni di bellezza che non sono solo estetici, ma anche etici e morali e quindi è di ispirazione per migliorarci, sempre.
Quando ti è arrivata la folgorazione per la danza? Hai un ricordo particolare di te da bambino?
Il primo ricordo che ho della danza è di me, piccolissimo, che ballo davanti alla televisione. A 5 anni chiesi a mia mamma di iniziare a fare danza, lei mi rispose “per quest’anno fai ancora nuoto e piscina, se sei dello stesso avviso l’anno prossimo cerchiamo una scuola di danza”. Il settembre successivo ero iscritto ad una scuola di danza di Vercelli e da allora non ho mai smesso di ballare
Due parole sulla tua famiglia: quanto è stata importante per l’espressione del tuo talento?
Moltissimo. Mia mamma è stata la prima a credere in me e ancora adesso la mia famiglia tutta è il mio più grande supporto. Sono stati loro ad accompagnarmi in questa lunga e faticosa strada lasciandomi sempre libero di scegliere e lottando con me tutti i giorni.
A cosa hai dovuto rinunciare per la danza?
Sicuramente a molta della mia giovinezza e a molto altro, ma ho avuto talmente tanto in cambio, che non mi sento defraudato di qualcosa, sono stato fortunato. Ho sempre lavorato sodo e ho fatto sacrifici, per essere fortunato, ma in cambio sono stato ampiamente ripagato dal destino.
E in cambio cosa hai ricevuto?
Una vita ricca di arte, di incontri, di grandi emozioni.
Cos’è per te il successo?
Non ci penso mai. La mentalità del ballerino non contempla il successo per come si è abituati ad interpretarlo. Per noi il successo è avvicinarci il più possibile alla perfezione cui aspiriamo, è essere liberi di vivere di questa arte cui apparteniamo in maniera così totalitaria. Oltre alla possibilità di realizzare grandi progetti e a poter scegliere la direzione artistica verso cui andare. In questo senso mi sento un uomo di grande successo.
Ti è capitato di cadere? Come affronti i momenti difficili?
Le cadute e anche il dolore, gli infortuni sono compagni di vita quotidiani per i ballerini. L’importante è rialzarsi sempre e incanalare i momenti brutti nella costruzione di qualcosa di bello.
Temi di vedere il tuo corpo che cambia?
Io credo che non esista nessuno al mondo che non abbia timore di invecchiare. Noi ballerini abbiamo un rapporto di così grande conoscenza e confidenza con il nostro corpo che siamo particolarmente consapevoli dei suoi cambiamenti. Io lo vedo cambiare ogni giorno e ogni giorno cerco di aiutarlo con l’alimentazione, con l’esercizio, ponendomi in ascolto, rispondendo alle necessità che chiede. Prendermi cura del mio corpo per me vuol dire innanzitutto prendermi cura del mio strumento di lavoro e di espressione.
“Bisogna danzare ogni giorno, fosse anche con il solo pensiero”. Sei d’accordo con questo detto chassidico?
Assolutamente d’accordo e vorrei diventasse un mantra seguito da tutti.