Daniel, la nostra piccola luce

Una doppia avventura: quella di Daniel, che ora può sentire grazie ad un impianto cocleare, e quella della sua famiglia, che trova la forza di reagire in maniera positiva.

Daniel è venuto alla luce nel giugno del 2015 e già a pochissimi giorni dalla nascita abbiamo saputo che presentava una sordità, anche se ignoravamo ancora da cose fosse dovuta. Grazie ad un ricovero che ha coinvolto tutta la famiglia (oltre a me e al papà di Daniel ci sono due fratelli che all’epoca avevano otto e cinque anni) abbiamo capito che durante la gravidanza mi si era riattivato il citomegalovirus che avevo contratto alcuni anni prima e che ha causato effettivamente la sordità di Daniel. Inutile dire che mi travolse un senso di colpa molto grande perché durante la gestazione avrei potuto fare un esame, pur facoltativo, ma che non mi fu menzionato dalla ginecologa. Fu, insomma, una doccia fredda e la mia reazione, andata avanti per molti mesi, fu quella di non far trasparire emozioni: mi chiusi in me stessa e affrontai quello che ci stava accadendo senza far trasparire sentimenti. Dovevo proteggermi al fine di andare avanti. Avevo bisogno di essere lucida. Fu anche grazie a mio marito che trovai però la forza per reagire in maniera positiva: analizzammo e decidemmo tutti i passi da fare e capimmo insieme come muoverci, che strade imboccare.

È così che a quattro mesi mio figlio Daniel ha fatto accesso a La Nostra Famiglia di Pasian di Prato per trattamenti di fisioterapia e logopedia grazie ai quali ha potuto avere i primi adattamenti per il suo primo apparecchio acustico. Devo dire che entrare nel Presidio di Riabilitazione mi scatenò la prima vera emozione e il primo giorno ne uscii in lacrime perché avevo immaginato di non dovervi più accedere dopo l’esperienza, seppur positiva, avuta con il mio primogenito per trattamenti di psicomotricità e logopedia. Devo però un grazie alla logopedista di Daniel che mi accolse con calma e razionalità e che ebbe la capacità e l’attenzione di intuire perfettamente che ero in difficoltà e che necessitavo di fare ordine per essere il più possibile utile alla riabilitazione, anche in vista di quanto ci aspettava (a me a tutta la nostra famiglia) nei mesi ed anni a venire. Decisi e scelsi di farmi forza e una delle prime cose che feci fu licenziarmi dopo ben venticinque anni di lavoro: avevo la necessità e volevo seguire al meglio i miei bambini e soprattutto la nuova avventura con Daniel.

A un anno e mezzo Daniel ha affrontato il primo intervento per impianto cocleare e dopo otto mesi un altro per il secondo impianto. E qui, un ringraziamento va alla dr.ssa Eva Orzan, chirurga dell’IRCCS Materno Infantile Burlo Garofalo di Trieste: lei e la sua equipe sono elementi essenziali della nostra storia e del nostro percorso.

Dopo gli interventi Daniel era certamente spiazzato perché le voci e i suoni arrivavano in maniera diversa ma ha subito imparato a convivere con quella nuova tecnologia che rappresentava per lui una vera opportunità. Da parte nostra abbiamo imparato a capire subito e con puntualità quando qualcosa nell’impianto non andava o non funzionava: abbiamo imparato a leggere le reazioni di Daniel. Ora basta solo che arrossisca un poco per farci capire e intervenire sulle batterie o sulla calibrazione di tutto l’impianto. Sì, possiamo dire che la tecnologia ha aiutato Daniel ma anche tutti noi a vivere e a viverci, a entrare in relazione a condividere in maniera più fattiva le giornate, a comunicare e a comunicarci, ad essere famiglia nella sua pienezza e nella sua gioia. Io certamente non sono mai stata tecnologica né amante della tecnologia mentre mio maritò di più: mi è servita, questa esperienza per approcciami ad essa diversamente, con proattività e con interesse. Ora sono diventata esperta e lo stesso Daniel è stato da noi educato fin da subito a rendersi autonomo, per quanto può, nella gestione dell’impianto.

Entrambi i fratelli sono legatissimi a Daniel e ricordo che durante tutte le fasi e le operazioni che ha subito erano attentissimi e partecipavano, a loro modo, con preoccupazione e attenzioni. È stato nostro compito aiutarli a vivere, per quanto possibile, con serenità e normalità tutte le fasi. Se penso a loro mi viene in mente che mentre Diego, ora quattordicenne, è molto sensibile e vive l’affetto infinito e il senso di protezione e delicatezza verso Daniel con discrezione e riservatezza, Devid, ora undicenne, è invece palesemente protettivo tanto che Daniel ogni tanto si infastidisce perché vuole, pretende, di essere autonomo. E come dargli torto? I nostri sforzi sono effettivamente orientati a non far vivere Daniel sotto una campana di vetro ma lo spingiamo a farsi strada a sapersi difendere ad affermare con le sue peculiarità e la sua personalità.

Se mi guardo indietro capisco che questa avventura mi ha cambiato: mi ha reso la donna forte che sono oggi, consapevole sì dei limiti di mio figlio ma anche di tutto il bene che lo circonda e di tutte le possibilità che ha davanti a sé, grazie certamente anche e soprattutto alla sua famiglia. Se dovessi trovare tre aggettivi per Daniel, sarebbero certamente, solare, coraggioso e sensibile: direi che Daniel è, non solo per noi, una piccola luce.

Giulia

 

SORDITÀ: DALLA TECNOLOGIA ALLA RIABILITAZIONE

Sono logopedista da parecchi anni.

Ho vissuto l'evoluzione tecnologica delle protesi acustiche da quelle a scatola, passando dalle analogiche alle programmabili, alle digitali, fino all'impianto cocleare. I miei primi bimbi sordi, ormai adulti, hanno affrontato ore e ore di abilitazione insieme a me, passando dal silenzio all'ascolto, dal non parlare a esprimere i propri desideri e opinioni. Il lavoro è stato tanto, per loro e per le loro famiglie. Sono felice di poter dire che la maggior parte di loro, se non tutti, ha trovato un equilibrio con la sua disabilità. Si sono creati rapporti che ancora ora esistono perché tante ore di abilitazione passate assieme necessitano per forza di una relazione per essere efficaci. L'impianto cocleare ha modificato qualcosa in questo. Spesso i tempi del trattamento logopedico si riducono. Nel caso di Daniel è stato così. L'ho conosciuto molto piccolo e l'ho lasciato alla fine della scuola dell’infanzia. Ora sta frequentando il primo anno di scuola primaria. Anche il mio modo di lavorare si è dovuto modificare, ma alcune cose non sono cambiate. La fatica e anche il dolore di una famiglia di fronte ad una diagnosi di sordità rimane la stessa. Il canale comunicativo verbale non sembra più funzionare.

Accompagnare nell'accettazione è sempre un lavoro delicato e talvolta lungo. Ma su tutto, ciò che è sempre valido, vige il principio che il bambino sordo non è solo orecchie, non è l’entrata uditiva, non è l'audiogramma. Ogni bambino sordo è un mondo e come tale deve essere visto nel percorso di abilitazione. Solo se si continua a vedere lo specifico di ognuno di loro si può pensare un percorso che abbia come obiettivo lo sviluppo di un linguaggio in una persona serena. Questo è successo con il piccolo Daniel grazie all'impianto cocleare, ma soprattutto insieme alla famiglia, insieme all'equipe.

Elisa Dreosto - Logopedista