Lanciarsi nel volontariato

Un’esperienza nella quale un giovane può scoprire la parte più luminosa della propria identità.

La solidarietà, insieme alla legalità, all’educazione ambientale e alla cittadinanza digitale, compone una disciplina che interessa trasversalmente tutti i gradi della scuola italiana: l’educazione civica, un percorso pensato per formare - al fianco di genitori e comunità - “cittadini responsabili”. Il volontariato, in quanto una delle forme più concrete di questa solidarietà, è inteso come “[una] prestazione volontaria e gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza, esplicata per far fronte a emergenze occasionali oppure come servizio continuo”. Tuttavia, ciò che non emerge da questa definizione è quanto invece è stato approfondito dalle ricerche in ambito sociopsicologico degli ultimi 25 anni[1], ovvero che l’atto del donare il proprio tempo e/o le proprie competenze faccia del volontario stesso un beneficiario, magari inizialmente inconsapevole.

Dare gratuitamente insomma non coincide con una privazione sterile delle proprie energie, ma con l’espressione dell’essere vivi e in grado di scegliere come impiegare le stesse.

Lo hanno dimostrato ampiamente, nel corso degli ultimi decenni, diversi apporti illustri sul tema della solidarietà e dell’altruismo. Carl Gustav Jung sosteneva che “Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona”. Émile Durkheim sottolinea come l’altruismo sia indispensabile per la società poiché gli uomini “non possono vivere insieme senza capirsi e, di conseguenza, senza sacrificarsi l’uno per l’altro, senza vincolarsi reciprocamente in modo efficace e duraturo.” Per Max Weber l’influenza positiva dei gruppi produrrebbe un beneficio allargato all’intera comunità, intesa come un tessuto sociale in cui si intrecciano l’impegno sociopolitico e la solidarietà[2].

Ma è forse con Erich Fromm, considerato uno dei fondatori della psicologia politica, che si raggiunge un approfondimento ancora maggiore dell’atto di dare, descritto come “la più alta espressione di potenza” (lo dirà a distanza di poco Fabrizio De André, immortale poeta [3]). Ad alcuni sarà capitato: a volte anche il lavoro più appagante e in cui riconosciamo di spendere al meglio le nostre competenze o indoli, potrebbe in alcuni casi non essere altrettanto soddisfacente di un pomeriggio trascorso a rimboccarci le maniche in un servizio che non ci restituirà altro che stanchezza, magari sudore, e un bel sorriso con cui andare a letto distrutti!

Quella del volontariato in fondo - quando coincide con una scelta consapevole di investimento nella solidarietà e non con l’imposizione di uno stage non retribuito, sia chiaro - è un’attività che accomuna sotto lo stesso cielo tutto il genere umano nella sua variopinta essenza. Nella cultura confuciana è chiamato benevolenza universale, che trae la sua origine dalla pietà filiale; tra gli ispanici e i Latinos si chiama familismo e consiste nel porre l’accento sull’importanza di supportarsi a vicenda come all’interno di una stessa famiglia; per i fratelli di fede islamica il Profeta in persona ha detto che la mano che sta sopra è migliore di quella che sta sotto, invitando a dare prova della propria disponibilità e generosità; agli Apache del Nord America è attribuito, infine, questo detto: “È meglio avere meno tuono in bocca e più fulmine nella mano” a significare, tra le possibili interpretazioni, che la carità di chi si spende ha maggior valore delle parole vacue.

Tra i vari benefici del volontariato possiamo sicuramente considerare l’effetto positivo che questo ha nella costruzione dell’identità di un giovane: si tratti per lui di una scelta spontanea e consapevole come di un lavoro socialmente utile o persino di un tentativo da parte degli adulti che a vario titolo lo circondano di responsabilizzarlo e farlo emergere dai soliti cliché di giovane apatico e impertinente che i media gli affibbiano. Come Winnicot ed Erikson hanno affermato, per un giovane crescere significa dover riconsiderare le sue certezze infantili e operare una selezione in base ai suoi bisogni e alle sue capacità in modo da poter occupare il suo spazio nel contesto sociale. Questo processo di costruzione della propria identità tuttavia non si esaurisce in un periodo circoscritto all’adolescenza, ma si protrae per tutta la vita ed è guidato dalle scelte che si intraprendono.

Mi viene in mente un’immagine, forse un tantino estrema ma che rende l’idea di cosa voglia dire per un giovane costruire la sua identità. Esiste, tra gli adolescenti della tribù Sa, nello stato di Vanuatu (in Oceania) un interessante rito di passaggio: devono esibirsi in un antico bungee jumping, il rituale del Naghol (che significa “tuffo a terra”). Esso consiste nel lanciarsi, legati a delle liane, da torri alte più di 30 metri. La prova non è tanto ludica quanto rischiosa: infatti, se sceglieranno una liana troppo corta rischieranno di scontrarsi contro i pali acuminati che reggono la struttura; mentre qualora fosse troppo lunga, cadranno al suolo ad elevata velocità. È qui che si compie la scelta: il desiderio di diventare grandi e contribuire finalmente alla propria comunità (oltre che l’istinto di sopravvivenza) fa sì che i giovani si dispongano a valutare attentamente la robustezza, la lunghezza e la fattura della liana che li accompagnerà in questa impresa. Paradossalmente, la struttura non è un porto sicuro in cui approdare, ma ciò che potrebbe ferirli o chiamarli fuori gioco. Il suolo è lì potenzialmente per accoglierli o inghiottirli. Ciò che fa la differenza non sta nella struttura o nel suolo né tantomeno nel volo: sta nella scelta consapevole dello strumento con cui compiono l’impresa.

Il volontariato può essere questa liana, in un volo che non è nel vuoto ma verso gli altri. Il giovane che sceglie di “lanciarsi” in un’esperienza di volontariato non prevede esattamente dove questa condurrà. È più una sfida, magari per alcuni è un tentativo di riscatto, per altri può essere un’occasione afferrata a seguito di un invito, in tutti i casi rappresenta certamente un’incognita. Eppure può rivelarsi un’esperienza nella quale conoscersi, scoprire realmente la parte più luminosa e speciale della propria identità, sotto la scorza dei pregiudizi, al di là dei modi con cui sono visti ed etichettati dall’esterno, oltre ciò che si ritiene in grado di saper/poter/voler fare, fino a prendere coraggio e compiere delle scelte che siano per la vita!

Il volontariato rende la solidarietà contagiosa perché, per quanto la carità più squisita sia compiere un gesto gratuito senza che alcuno se ne accorga, quando il bene si vive in gruppo ci si rende conto che “nessuno può dirsi così povero da non poter donare qualcosa agli altri[4].

E questo non vale solo per il volontario, ma anche per quelle persone che il volontario incontra: la solidarietà insomma è l’unico investimento che non fallisce mai perché da un lato chi crede di prodigarsi per gli altri si scopre nel bisogno e dall’altro chi magari vive l’imbarazzo di chiedere aiuto sperimenta la gioia di essere stato importante nel cammino dell’altro. Per di più, questo scambio può risultare estremamente arricchente quando si mettono in dialogo culture e provenienze diverse, poiché la condivisione, quando disinteressata, genera un incontro in cui nessuno risulta straniero.

Concludo con un verso di un’autrice statunitense dell’Ottocento che mi sta molto a cuore. È una conclusione che vuole essere di incoraggiamento a coloro che non si sono ancora decisi a favore di una scelta di questo tipo e una consolazione per tutti quelli che hanno sperimentato il volontariato da entrambi i punti di vista, facendo ad ogni modo del bene all’altro: “Se allevierò il dolore di una vita non avrò vissuto invano” (Emily Dickinson).

Silvia Rapanà, educatrice antropologa

 

[1] Tra le altre: Clary et al., 1998; Snyder & Omoto, 2008; Smith et al., 2010; Grönlundet al., 2011; Kang et al., 2011; Wilson, 2012; Rockenbach et al., 2014; Lin, 2015; Goldner & Golan, 2017

[2] cfr. Putnam

[3] “I potenti rammentino che la felicità non nasce dalla ricchezza né dal potere, ma dal piacere di donare.” (Fabrizio De André, Corale - Leggenda del Re Infelice, 1968)

[4] papa Francesco, prima giornata Mondiale dei Poveri (19 novembre 2017)