L’identità: individualismo o relazione?

Implicitamente ognuno di noi ha dentro di sé la domanda “chi sono io?” E la risposta si costruisce nel tempo, nell’intreccio di relazioni tra l’individuo e le persone che lo circondano.

Quando nei primi anni settanta del ‘900 non era ancora diffusa la consapevolezza che ogni bambino con disabilità può apprendere, se accompagnato e sostenuto con metodi appropriati, La Nostra Famiglia pubblicava un volumetto che segnava una tappa significativa nella costruzione della competenza educativa e didattica di molti educatori e insegnanti. Si tratta del libro della pedagogista Isa Coduri “Il primo anno di scuola speciale”, edito appunto da La Nostra Famiglia.

Parlare di “scuola speciale” non è di moda oggi, perché essa potrebbe essere interpretata come luogo che esclude i bambini con disabilità dal diritto fondamentale di accedere alla scuola così detta “normale”.

Eppure, se guardiamo alla sostanza, bisognerebbe che la scuola fosse davvero speciale per ciascuno, nel senso che dovrebbe essere in grado di insegnare ad ogni bambino tenendo conto delle sue particolari capacità e bisogni, e quindi permettergli di imparare utilizzando i metodi più adatti alle sue caratteristiche.

Ma per tornare al nostro tema, il libro, largamente utilizzato negli anni successivi per la formazione di insegnanti ed educatori specializzati, dedicava nei suoi primi capitoli molta attenzione al programma del primo anno di scuola, declinato, secondo i problemi persistenti della vita, in questi obiettivi fondamentali: imparare a conoscere ed accettare se stessi; imparare a vivere in armonia con gli altri; imparare a comprendere l’ambiente fisico che ci circonda; imparare a comunicare con gli altri; imparare a conoscere l’aspetto quantitativo delle cose; imparare a controllare il proprio corpo, ad avere cura di sé, ad evitare i pericoli; imparare a mantenersi sani; imparare ad apprezzare la bellezza, a gioirne, a crearla; imparare a guadagnarsi la vita, a contribuire all’andamento della casa, a maneggiare il denaro; imparare ad usare saggiamente il tempo libero; imparare a viaggiare; imparare a conoscere e a vivere la propria dimensione soprannaturale.

Credo potrebbe essere una guida tuttora attuale, anche se più recenti teorizzazioni, tecnologie e nuovi strumenti a disposizione andrebbero tenuti presenti e integrati non tanto nell’elenco quanto nei suggerimenti metodologici. Molti obiettivi rientrano nella più ampia e generale finalità dell’acquisizione dell’autonomia, ma è evidente che la questione dell’identità del bambino è posta e rimane come obiettivo prioritario dello sviluppo e quindi dell’educazione, da perseguire attraverso una serie di proposte di attività e di esperienze rivolte al bambino stesso e al gruppo-classe in cui è inserito, di cui è responsabile in prima persona, se parliamo di scuola, l’insegnante. Ma se parliamo di vita, la responsabilità è di molti altri: dei genitori e della famiglia, innanzi tutto, ma anche della comunità, del vicinato, dei gruppi di tempo libero…

Implicitamente ognuno di noi ha dentro di sé la domanda “chi sono io?” E la risposta si costruisce nel tempo, nell’intreccio di relazioni tra l’individuo e le persone che lo circondano; diventa consapevolezza di quello che tu sei, del tuo valore, dei tuoi punti di forza e di debolezza, gradualmente acquisita attraverso le esperienze fatte: quelle positive, ma anche gli errori, le sofferenze, gli insuccessi e le delusioni.

Conoscere ed accettare se stessi è un obiettivo che si può raggiungere quindi attraverso apporti molteplici. Dipende da molti fattori: dall’amore con cui sei accolto, dal sentirti voluto, scelto e appartenente a una famiglia - il nome e il cognome dicono questo - dal sentirti accettato nelle tue caratteristiche personali, fisiche e psicologiche (genere, fisionomia, abilità e disabilità, intelligenza, carattere), dal sentirti parte di un contesto culturale, linguistico, sociale che ha riconoscimento e cittadinanza.

Peraltro è un obiettivo che non si può mai dire raggiunto una volta per tutte, perché nel tempo cambi, raggiungi la maturità, ti avvii poi verso un declino. Cambiare, prenderne consapevolezza, accettare e valorizzare: un cammino necessario, che è più facile se si crede che esiste una prospettiva o un senso che vanno al di là del tempo che ci è dato. Ogni momento però ha il suo valore, ogni fase richiede relazioni di cura, sostegno, rispetto.

Molto deriva dall'immagine che gli altri ti rimandano di te.

A noi quindi la responsabilità di riflettere e di creare le condizioni perché ogni bambino e direi anzi ogni persona si trovi in un contesto favorevole per maturare, conoscere ed esprimere la propria identità, nella libertà del potersi giocare senza maschere, senza necessità di costruirsi “un falso sé” per aderire alle aspettative che altri hanno su di lei.

Come dice un famoso scritto di Dorothy Law Nolte, se un bambino vive nell’approvazione, impara ad accettarsi, se vive nell’incoraggiamento, impara la fiducia, se vive nell’accettazione e nell’amicizia, impara a trovare l’amore nel mondo.

Accade al bambino, ma accade anche agli adulti.

Carla Andreotti