Ascoltare i bambini vuol dire uscire dagli schemi e aprire gli occhi su un orizzonte più ampio
La commovente storia di Gabriele, che si affaccia al mondo grazie alla sua famiglia, alla scuola e alla determinazione di un’operatrice.
L’esperienza che desidero condividere, che va ben oltre la professione e la tecnica, è per me veramente importante per dare voce a tanti “piccoli pazienti” che da soli non ce la fanno.
Gabriele è un bambino che già nei suoi primi giorni di vita conosce le difficoltà. Arriva subito al Centro per iniziare fisioterapia ma la sua relazione con l’ambiente che lo circonda presenta tanti limiti: guarda poco, non afferra, ha tante stereotipie motorie alle mani che obbligano la terapista e la mamma a fasciargliele per evitare che si faccia male.
Cresce, raggiunge l’autonomia motoria e inizia la neuropsicomotricità, entra nella mia stanza. Il suo approccio all’ambiente è disturbato da un isolamento e da interessi stereotipati: fa rotolare ogni cosa, guardandola con interesse, usa lo specchio come strumento di studio del movimento suo e dell’oggetto. Si allontana da tutti, i suoi occhi sono difficili da vedere, le sue palpebre sono prevalentemente abbassate: se fermi il suo movimento piange, senza emettere alcun suono, e si addormenta, chiude il suo mondo al mondo dell’altro.
In punta di piedi, riesce a condividere il suo mondo con me, ma sono io che accetto le sue regole per farle anche mie e poterle così ampliare; il movimento delle sue mani è disturbato da difficoltà prassiche ma Gabriele è un esploratore e, se riesci a catturare il suo interesse, lui “studia” il mondo che gli offri. Ma è il mondo esterno, attraverso la mia professionalità, che deve adattarsi a lui e non può essere viceversa.
“Piaget sarebbe contento di lui” dico spesso alla mamma.
La mamma di Gabriele: il fulcro attorno a cui ruota e ruoterà tutto, testimone eccezionale di come l’intervento riabilitativo abbia senso solo se condiviso con la famiglia.
La mamma osserva molto il suo bambino, attivamente fa sue le indicazioni che le do, condivide con me quotidianamente quello che vede a casa, con occhi che sanno integrare l’amore di mamma con le strategie di aiuto per facilitare e aiutare il figlio.
Gabriele cresce, impara tante cose e, l’angoscia iniziale ad accettare l’altro, diventa opposizione, forte opposizione: riesce però a creare un contatto con le persone che lo curano e col mondo, un contatto speciale, spesso difficile da vedere e da capire, sicuramente impossibile da capire senza la condivisione continua tra me e la mamma.
Tutto sembra dimostrare che non ci siano molti spiragli di evoluzione: la mancanza di comunicazione verbale, i gesti disturbati da movimenti che ostacolano la chiarezza della risposta, il rifiuto a collaborare, l’impossibilità ad usare gli strumenti standard di valutazione per definire “il suo quoziente intellettivo (QI)”.
Con i bambini speciali, come Gabriele, non mi sono mai fermata davanti al QI: è l’osservazione attenta che mi porta, con la mamma, a capire il bambino e a trovare strategie d’intervento per dargli strumenti di conoscenza del mondo. Così, dai giochi costruiti apposta per lui, da vari strumenti di comunicazione aumentativa alternativa, siamo arrivati all’inserimento del bambino alla scuola primaria e alla necessità di trovare uno strumento informatico per aiutare Gabriele a comunicare e ad imparare.
Anche la scuola diventa un ambiente importante per Gabriele che, fortunatamente, trova degli insegnanti disponibili e competenti sugli strumenti compensativi da usare coi bambini in difficoltà.
In mezzo a tante difficoltà, spesso connesse alla poca voglia degli specialisti di conoscere il mondo speciale dei nostri bambini e di lasciarsi andare ad una collaborazione con la famiglia (io penso che ascoltare l’altro non sia sinonimo di incapacità ma, anzi, di umiltà in piena sicurezza di ciò che si sta facendo), la mamma trova l’Ipad adatto a suo figlio e studia come poterlo usare.
Gabriele, nel frattempo, riesce a far emergere, solo con la sua mamma a casa, le sue potenzialità e capacità, che diventano sempre più complesse e sempre più meravigliano ed emozionano: impara a scrivere, impara a far di conto, impara l’inglese, l’analisi grammaticale…. e, ancora una volta, solo la costanza della sua mamma, e la professionalità degli insegnanti, lo aiutano a trasferire anche a scuola quello che sa fare.
E’ davvero emozionante per tutti scoprire le capacità racchiuse in questo bambino e spesso le lacrime degli adulti che lo curano accompagnano la gioia e l’incredulità di fronte alle sue risposte.
Nel frattempo, il suo comportamento sociale è cambiato ma ancora Gabriele ha bisogno di essere accettato nelle sue stereotipie e rigidità.
Ma, se ci fossimo fermati a questo, alle apparenze, non avremmo mai avuto la conferma che, dentro i nostri bambini, c’è un mondo che aspetta solo che noi gli offriamo la possibilità di uscire e di farsi vedere.
Ancora oggi, con meraviglia e come in un sogno, mi emoziono quando la mamma mi mostra il “10 e lode” conquistato nelle tabelline o in scienze o in qualunque altra materia scolastica, perché Gabriele dimostra ogni giorno di sapere e potere imparare anche se, mentre il maestro spiega, lui cammina tra i banchi, oppure se fa i compiti guardando le televendite alla tv. E’ per me sorprendente vedere come riesca ad imparare pur continuando a non parlare, quindi senza usare il feed-back continuo verbale-uditivo che ciascuno di noi usa per consolidare gli apprendimenti.
Soprattutto questo bambino è la dimostrazione di come davvero noi operatori della riabilitazione non dobbiamo mai fermarci alle apparenze, non possiamo fermarci a valutazioni che per nulla si adattano ai nostri bambini speciali, ma dobbiamo sempre trovare il coraggio di saper “ascoltare” e “capire” i bambini, nella sicurezza della nostra preparazione professionale che non porta a nulla se non esce dalla stanza di riabilitazione.
Grazie Gabriele: sei, e non solo per me, l’esempio stupendo di quanto sia importante uscire dagli schemi operativi classici per aprire i nostri occhi di riabilitatori su un orizzonte più ampio.
Grazie, mamma di Gabriele: hai dato un senso ancora più grande al mio impegno professionale e mi hai aiutato a crescere come persona. Ora sei impegnata nel tuo prossimo obiettivo: coinvolgere i negozianti del Paese affinché Gabriele e altre persone con bisogni speciali come lui riescano a muoversi in autonomia fuori di casa.
Grazie, papà di Gabriele: seppur in modo più nascosto, hai permesso che tutto avvenisse, sostenendo la mamma anche coi regali “speciali” che lei ti chiede, per continuare a stimolare il vostro bambino con tanta fantasia e creatività.
Emanuela Besana
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
La Nostra Famiglia di Carate Brianza