Lasciarsi sorprendere dall’altro

Conoscere significa mettersi in movimento, andare a vedere, aprirsi, come fece il beato Luigi Monza.

 

C’è un grande equivoco che serpeggia nella nostra società, secondo il quale basta avere accesso all’informazione per conoscere. Durante la pandemia, però, abbiamo fatto esperienza, più che mai, che l’uomo non è un computer collegato con altri computer, ma un essere che vive di relazioni. Papa Francesco, al n.43 di “Fratelli tutti” lo dice esplicitamente: «La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità». Ovviamente Internet è una benedizione e rappresenta un’enorme opportunità per avvicinare singoli, popoli e culture. Se pensiamo a certi contesti del Sud del mondo (quelli, ad esempio, dove opera Ovci) è innegabile che l’accesso alla Rete abbia significato la premessa per un “salto” nel cammino verso uno sviluppo integrale. Ma guai a illudersi che questo possa bastare.

Sfatare questo mito molto diffuso è la prima condizione per comprendere come per l’uomo la “conoscenza” sia qualcosa di assai più ricco e complesso del “sapere”. Nella Bibbia, ad esempio, “conoscere” l’altro implica avere un rapporto profondo, intessere legami e non solo possedere informazioni più o meno dettagliate sull’altra persona. Pensiamo, del resto, a quanto accadeva durante la guerra fredda: la temibile Stasi (polizia segreta della DDR) sapeva vita, morte e miracoli dei tanti che spiava, come documenta il film “Le vite degli altri”. Ma possiamo forse dire che davvero conoscesse il loro cuore?

Conoscere la realtà e le persone in modo autentico, in altre parole, significa incontrare, muoversi verso l’altro, aprirsi. È un processo, qualcosa che implica un cammino, l’esatto contrario di un’operazione meccanica fatta una volta per tutte. Lo vedo a scuola ogni giorno: quest’anno la didattica a distanza ci ha un po’ penalizzato, ma paradossalmente ha fatto riscoprire - tanto a noi prof quanto ai ragazzi - la bellezza e l’importanza della relazione dentro il processo di apprendimento. Forse mai come quest’anno ci si è resi conto che “conoscere” è molto di più che immagazzinare dati, assorbire informazioni, accumulare nozioni. Conoscere è un processo di crescita che non può prescindere dalla relazione con chi insegna, corregge, supporta.   

Conoscere, quindi, implica innanzitutto aprirsi all’altro, ascoltare con il cuore e non solo con le orecchie. Papa Francesco lo afferma con chiarezza al n. 48 di “Fratelli tutti”: «Il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia». Gli atteggiamenti descritti dal Papa mi pare descrivano bene anche alcuni tratti della personalità di don Luigi, uomo dell’ascolto, discreto ma attento al suo interlocutore. Don Luigi ha saputo dar vita a un’opera – le Piccole Apostole della carità – non soltanto perché ha dato ascolto a un’ispirazione dall’alto, bensì perché ha saputo conoscere nel profondo le persone che avrebbero poi dato vita a un’avventura evangelica che ancora oggi continua, con la sua intatta carica di profezia.

Don Luigi Monza non è stato un giornalista. E tuttavia, a me pare, quanto Papa Francesco scrive nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni sociali di quest’anno ben si potrebbe applicare al nostro Beato. Scrive il Papa: «Per poter raccontare la verità della vita che si fa storia è necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto». In altre parole: conosce davvero chi esce da sé, chi si lascia sorprendere. Come diceva san Gregorio di Nissa: «I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce».

Gerolamo Fazzini