Buone idee per il futuro
Il mondo dopo il Covid? Ci pone grandi sfide ma anche grandi opportunità, grazie alle tecnologie digitali e alle politiche ambientali. Intervista a Luciano Floridi, filosofo e professore ad Oxford.
Sostenibilità e digitale per salvare il pianeta, una nuova visione della politica e dell’economia sotto la lente della filosofia. È la visione del futuro di Luciano Floridi, filosofo e professore ad Oxford, dove dirige il DIGITAL ETHICS LAB. Nel suo lavoro “Il verde e il blu - idee ingenue per migliorare la politica”, il professore parte dai mutamenti imposti dalla globalizzazione e dal cambiamento tecnologico per arrivare al verde della sostenibilità e al blu del digitale come elementi chiave per una buona politica: “Il digitale e l’ambiente c’erano già, ma è soltanto con la pandemia che sono diventati fattore comune. Sia chiaro, quando dico verde intendo ecologia nel senso greco della parola. È il verde di tutti gli ambienti, di ogni casa che noi abitiamo: dell’ambiente urbano, di quello economico, sociale, lavorativo, familiare, politico. È anche il verde di una casa comune in Europa. Quanto alle tecnologie digitali, cioè il blu, si tratta di una rivoluzione profonda, comparabile a quella agricola e poi a quella industriale: è uno dei grandi momenti di trasformazione della vita umana su questo pianeta.
Quindi è un passaggio epocale?
Sì, nello stesso modo in cui il Novecento non è iniziato alla mezzanotte del 1901 ma con la prima guerra mondiale, così non è finito nel 2000 ma con la pandemia. Ecco, mi si perdoni la battuta un po’ forte: l’altra volta c’è voluta una guerra mondiale per cambiare pagina, questa volta la pandemia. Ci ha detto quasi bene, se ci fosse stata un’altra guerra mondiale non saremmo qui a raccontarla. Abbiamo oltre un milione di morti, intere popolazioni che hanno sofferto e continuano a soffrire, non si scherza su queste cose. Ma in prospettiva, se questa sofferenza è stata necessaria per poter cambiare pagina e salvare la nostra società e questo pianeta, possiamo almeno guardare con fiducia all’elemento di comprensione e cambiamento. Per questo, quando sento la gente dire “non vedo l’ora di tornare a come eravamo prima”, io rispondo: anche no, sarebbe stata una sofferenza inutile. Una sofferenza diventa meno insopportabile se almeno comporta un valore aggiunto: di maturazione, di cambiamento dei comportamenti. Da qui il mio auspicio per un cambiamento che faccia la differenza. Che dal dolore emerga un mondo migliore.
E la tecnologia digitale segna il passo di questo cambiamento. Eppure, a fronte di algoritmi sempre più intelligenti noi siamo sempre più “profilati”. Non c’è il rischio che le nostre emozioni vengano manipolate non solo a fini commerciali ma anche politici?
Lo siamo già purtroppo, da Cambridge Analytica al pasticcio che è successo con gli Stati Uniti e con Brexit, dall’uso deprecabile di questi media fatto da forze politiche italiane per avvelenare la comunicazione contro i più deboli e gli indifesi, per seminare odio e paura. È un uso perverso di strumenti che tuttavia – io resto convinto - potrebbero renderci la vita molto più semplice, produttiva, piacevole, umana, ma che noi invece usiamo per darci martellate sulle dita. Con chi me la vado a prendere: col martello o con chi si è dato la martellata? Le tecnologie digitali non sono di per sé cattive: creano ambienti e facilitano la comunicazione, ci permettono di fare cose straordinarie, tanto di più con tanto di meno. Certo, esiste un grande fratello governativo e un grande fratello commerciale, ma la mia paura non è che le aziende ci manipolino per venderci un altro paio di scarpe o che lo stato ci controlli per scoprire che non abbiamo pagato le tasse: la mia paura è che questi due fattori si saldino tra di loro, che la grande potenza del mondo commerciale si metta al servizio della forza dello stato. Se il business e lo stato si alleano contro la società civile, questa sta proprio messa male, come accade oggi in Cina.
Torniamo al verde: come conciliare l'input di aumentare i consumi per la ripresa economica con la sobrietà e la sostenibilità?
Noi pensiamo in termini molto novecenteschi, che il consumo non possa che essere dannoso per l’ambiente: quindi, se voglio salvare l’ambiente devo consumare di meno. Sembra un’equazione intuitiva ma non è così. Pensiamo all’illuminazione casalinga: ci siamo illuminati con il fuoco e con la legna, poi con candele, lampade a olio, quindi abbiamo inventato le lampadine e oggi abbiamo i led. Abbiamo decuplicato la qualità e il valore di ciò che abbiamo abbattendo ad un livello straordinario il consumo. Una lampadina oggi vale 60 candele di ieri, un led consuma una frazione dell’energia di una lampadina incandescente. Per questo dico che la nostra economia deve diventare un’economia del consumo dello spreco. Quante candele dovremmo accendere per vederci come vediamo adesso? Una quantità sterminata… Ecco che allora il futuro dell’umanità non è una decrescita felice. Dal fuoco alla candela alla lampadina al led noi stiamo molto meglio con tanto di meno. Abbiamo un bacino di spreco praticamente illimitato. Pensiamo soltanto al sole. Una gigantesca esplosione nucleare che, si calcola, produce ogni ora energia sufficiente per tenere accese 2,880 trilioni di lampadine. Immagini quante ore sono passate da quando ci siamo evoluti su questo pianeta… fa girare la testa l’energia che non utilizziamo. Un’economia del consumo dello spreco è una possibilità di sviluppo straordinaria. Pensiamo al valore letterale dei rifiuti urbani, che sono una miniera non solo per quello che si può recuperare ma anche in termini di energizzazione (non per niente sono un grande business per le organizzazioni mafiose). Ogni discarica che costruiamo è sviluppo che non stiamo ottenendo, ogni volta che bruciamo tutto per generare quel poco di energia, abbiamo consumato candele invece di usare i led. La decrescita felice è un modo datato, pre-digitale, di guardare allo sviluppo.
Politica, economia, tecnologia: quale delle tre è al timone della nave?
Domanda da un miliardo di dollari: prima le dico chi c’è e poi chi vorrei che ci fosse. Semplificando molto, oggi quella che noi chiamiamo politica economica è in realtà l’economia, dettata dal business del digitale, che dirige la politica. Se dovessimo metterle in fila, l’impressione è che il digitale decida l’economia e che l’economia decida sulla politica. Ecco, dovrebbe essere l’esatto contrario. Sto semplificando molto, ma la politica dovrebbe determinare l’economia che a sua volta dovrebbe determinare la tecnologia. Dovremmo decidere che società vogliamo costruire, capire i meccanismi economici per realizzarla e mettere il digitale al servizio di quell’economia e quella politica. Questo si può fare, quello che manca è la volontà politica di cambiare strada. Perché è rischioso, perché è lungimirante e la politica oggi si guarda i piedi e non dove sta andando. Purtroppo abbiamo avuto grandissime opportunità sprecate, grandi crisi per le quali abbiamo chiesto grandi sacrifici ma che non abbiamo poi valorizzato. Abbiamo urlato al lupo troppe volte. Quando diciamo che questo è l’ultimo treno è vero, speriamo che la politica faccia la sua parte perché le opportunità sono sempre di meno e i rischi sempre di più.
E a questo proposito, crede che ingenuità e politica possano stare sotto lo stesso tetto?
L’ingenuità di cui parlo è acquisita, non è di partenza ma è di ritorno. L’analogia è con il viaggio e con chi torna a casa. Viene da chiedere: che sei partito a fare? Sei andato e poi ritorni, non potevi restare qui? No, perché il viaggio cambia tantissimo, arricchisce, permette di vedere altre prospettive, dona esperienza, conoscenza, consapevolezza e una profondità completamente diversa. Tornare a Itaca, è questo che dobbiamo fare: le domande restano le stesse, ma Ulisse che se le pone, tornato a Itaca, non è lo stesso Ulisse che se le poneva prima di partire. L’ingenuità di partenza è quella del sempliciotto illuso e magari incompetente, ma quella di arrivo è di chi, avendo acquisito politicamente l’esperienza, le capacità e l’intelligenza sul da farsi, poi riesce anche a liberarsene e fa il salto, e ritorna a porre le domande fondamentali, quelle importanti, alle quali può finalmente dare le risposte giuste, arricchite e non resi sterili dall’esperienza. “Se non diventerete come bambini”… Il Vangelo dice “diventerete” (γένησθε) e non “resterete”, questo è fondamentale. Bisogna tornare a essere capaci di vedere il mondo con la bontà, l’ingenuità e la fiducia degli occhi di un bambino e una bambina. Per fare questo ci vuole uno sforzo straordinario. È l’esercizio della ragione. È il maratoneta che arriva all’esatto punto di partenza ma dopo decine di chilometri, stremato ma vittorioso. È uno sforzo che gli è costato quasi la vita e rende l’idea del senso di arricchimento del tornare al punto di partenza. È Ulisse che è tornato a casa, nella oikos.
Cristina Trombetti
Luciano Floridi - Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica
Raffaello Cortina Editore, Milano 2020.
Si ringrazia Alberto Ruggieri per l'illustrazione di apertura - www.albertoruggieri.net