Fare ricerca in ambito sanitario è parte del processo di cura

 “Quando mi scontro con le difficoltà legate al mio lavoro, penso agli occhi dei genitori che ascoltano le nostre proposte, all’impegno delle famiglie che partecipano ai nostri progetti di ricerca con la speranza di poter essere di aiuto alle famiglie che verranno dopo di loro”.

Alessandro Crippa, ricercatore presso il laboratorio di Psicopatologia dello Sviluppo dell’IRCCS Medea di Bosisio Parini (LC), da circa 10 anni cerca di capire se lo studio del movimento dei bambini con disturbo dello spettro autistico possa portare a nuove conoscenze per il riconoscimento precoce del disturbo.

Per il suo lavoro, nel febbraio 2014 è risultato meritevole di un finanziamento su bando competitivo da parte del Ministero della Salute, all’interno del prestigioso bando di Ricerca Finalizzata 2011/2012 - Giovani Ricercatori.

Alessandro, quando hai capito di voler fare il ricercatore? E perché proprio lavorando con i bambini?

Già durante il liceo ho scoperto la passione di lavorare come volontario nel campo dell’età evolutiva e anche per questo motivo mi sono iscritto al corso di laurea in psicologia dello sviluppo. Per me che vivo sul territorio, l’Associazione La Nostra Famiglia è sempre stata un punto di riferimento per bambini in situazione di sofferenza ed ho perciò richiesto di frequentare l’IRCCS Medea per il mio tirocinio professionalizzante nel 2006 e poi nel 2007. Queste due esperienze, e il concomitante lavoro di tesi sperimentale nella neuropsichiatria infantile dell’ospedale di San Donà di Piave, sono state l’occasione per appassionarmi alla ricerca scientifica.

 

Passione per la ricerca che ti ha portato per otto mesi negli Stati Uniti. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Nel 2016 e nel 2017 ho lavorato presso il Center for Neurodevelopmental and Imaging Research, - Kennedy Krieger Institute, di Baltimora. Pur sentendo a volte nostalgia dell’Italia, è stata un’esperienza straordinaria, che mi ha molto arricchito professionalmente e personalmente. Ho potuto infatti imparare alcune tecniche innovative per le analisi di risonanza magnetica ma anche confrontarmi con culture diverse in un ambiente di lavoro estremamente stimolante.

Cosa ti piace del tuo lavoro?

Difficile scegliere solo un aspetto. Sicuramente, mi piace molto osservare i bambini che ho davanti e il loro modo di fare, e formulare in seguito ipotesi di ricerca per approfondire aspetti sempre nuovi del loro funzionamento. Ma mi piace molto anche scrivere progetti di ricerca ed “emozionarmi” nell’analizzare i dati raccolti per verificare il risultato di mesi di lavoro. Forse l’aspetto che più mi piace è però la possibilità di lavorare insieme a molte altre figure professionali: penso ai clinici con cui ho collaborato in questi anni, ma anche ai team di bioingegneri, fisici e biologi. Tutti mi hanno insegnato qualcosa di diverso e profondamente arricchente.

Cosa ti motiva maggiormente nel lavoro di tutti i giorni?

Credo fermamente che fare ricerca in ambito sanitario sia parte del processo di cura. Quando mi scontro con le difficoltà legate al mio lavoro, cerco di pensare agli occhi dei genitori che incontro tutti i giorni nei corridoi del nostro istituto o che ascoltano le nostre proposte. Penso all’impegno di queste famiglie che partecipano in modo volontario ai nostri progetti di ricerca con la speranza di poter essere di aiuto, con la loro partecipazione, alle famiglie che verranno dopo di loro e che vivranno le loro stesse difficoltà. Nei giorni più faticosi, quando le difficoltà sembrano spegnere l’entusiasmo, cerco di pensare a quegli occhi e alle speranze che vi stanno dentro, e cerco di fare ancora di più.

Vuoi raccontarci come sono iniziati i tuoi studi? E perché studiare il movimento di questi bambini?

L’IRCCS Medea di Bosisio Parini si sta occupando da diversi anni di caratterizzare il profilo motorio nel disturbo dello spettro autistico. Quando ho iniziato a lavorare in istituto nel 2008, sono stato subito coinvolto in un progetto di ricerca europeo che era già in corso e che cercava di capire se le anomalie del movimento potessero essere un marker precoce del disturbo. Per sua vocazione, l’istituto ha sempre avuto un’attenzione particolare per i disturbi del movimento e dispone di laboratori di analisi cinematica che consentono valutazioni molto accurate.

Sebbene non sia una delle manifestazioni principali del disturbo, può risultare molto utile studiare le difficoltà di movimento che spesso si associano per diverse ragioni. Nello specifico, le atipie del movimento hanno una prevalenza molto elevata (circa l’80% dei pazienti con autismo presenta anche difficoltà motorie) e, manifestandosi precocemente, hanno un impatto significativo sulla qualità della vita e sullo sviluppo sociale del bambino. Inoltre possono essere misurate più facilmente delle difficoltà socio-comunicative mediante l’utilizzo di strumentazioni di laboratorio molto sensibili, come appunto l’analisi cinematica. Ma la cosa che preferisco maggiormente è che, diversamente da compiti cognitivi, i compiti motori possono essere proposti anche a bambini con difficoltà linguistiche o limitate risorse cognitive, e a bambini di pochi mesi di età. Questo ci permette di coinvolgere anche bambini con un basso funzionamento che costituiscono un numero significativo di pazienti, ma che spesso sono sottorappresentati nelle pubblicazioni scientifiche internazionali.

Qual è quindi la tua ipotesi di ricerca?

La mia ipotesi di ricerca nasce dall’osservazione dei bambini che frequentano il nostro reparto. Infatti, una delle prime cose che mi ha incuriosito lavorando con bambini con autismo è quanto potessero essere incredibilmente diversi l’uno dall’altro nel loro modo di funzionare nella vita di tutti i giorni. Ho iniziato così a pensare che i risultati, a volte contrastanti, della ricerca in questo ambito potessero essere dovuti proprio a questa “diversità”. Confrontandomi con i miei responsabili e con i colleghi clinici, ho quindi ipotizzato che una caratterizzazione molto precisa del profilo motorio di bambini con disturbo dello spettro autistico potesse identificare specifici profili clinici, in modo da individuare bambini più “simili” tra loro.

Quali possono essere le ricadute di questo lavoro?

Scoprire e caratterizzare profili clinici sulla base delle abilità motorie può risultare molto importante per la messa a punto di trattamenti personalizzati, ma anche per aumentare il potere predittivo di altre tecniche di indagine, quali la risonanza magnetica cerebrale o l’analisi genetica. Inoltre, alcuni dati preliminari che abbiamo pubblicato suggeriscono che le difficoltà motorie possano effettivamente discriminare bambini con disturbo dello spettro autistico da bambini con sviluppo tipico già nel corso della prima infanzia.