Penalizzati ai nastri di partenza della vita
Intervista a Marco Rossi Doria, Presidente di Impresa Sociale Con i Bambini
di Claudia Tringali
Il contrasto alla povertà educativa interessa ciascuno di noi, non è un tema solo per docenti, genitori o operatori sociali, investe tutta la società, ci mette tutti sotto lo stesso cielo come comunità educante.
Per comprendere meglio cosa sia la povertà educativa e cosa ciascuno di noi possa fare per contrastarla, abbiamo intervistato il Maestro Marco Rossi Doria, Presidente di Impresa Sociale Con i Bambini che ha come obiettivo quello di attuare i programmi del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile attraverso il sostegno a interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori.
Il Maestro Rossi Doria introduce il tema spigandoci che la povertà educativa è influenzata da più variabili socio economiche contemporaneamente, alcune connesse al calo demografico, altre allo spopolamento delle aree rurali e tutto ciò si ripercuote sulla socialità dei bambini: “abbiamo centinaia di piccoli comuni in tutta l’area appenninica, alpina e prealpina dove se sei un bambino cresci da solo, al massimo con un cugino. I compagni di classe sono a decine di chilometri di distanza, questo è un impoverimento della socialità, dell’esperienza e della vita in genarle, è una forma di povertà educativa di cui poco si parla. Anche nelle zone dove fino a poco tempo fa la popolazione cresceva normalmente, ormai si fanno le prime classi elementari con pochi bambini, le scuole riducono le sezioni. Entrare in una scuola piena o in una scuola vuota arricchisce o impoverisce la vita esperienziale e sociale”.
Queste variabili legate alla crescita isolata dei bambini producono delle conseguenze culturali, antropologiche e pedagogiche: “Quando un bambino cresce con due genitori e quattro nonni ci si ritrova in una situazione in cui ci sono molti adulti attorno ad un bambino, una presenza che talvolta è eccessiva. Questo bambino o bambina si sentirà al centro del mondo con forme di presenza adulta troppo intense di attenzioni e protezione, disabituandosi alla gestione progressiva della frustrazione. Questo io ipertrofico può diventare narcisistico, perché ha pochi limiti e perché non esercita la capacità di gestire la frustrazione, il senso del limite, la capacità indispensabile di rispettare la regola per stare con gli altri. Tutto questo si traduce in una serie di fenomeni che osserviamo tutti i giorni nelle scuole e nelle società. Faticando a riconoscere il tu, si sta sempre sull’io, rendendo difficile costruire il noi. Questa è una forma di impoverimento della dimensione sociale e cognitiva dell’uomo, perché di fronte alla complessità della relazione e alla necessità di costruire il noi, il cervello deve negoziare con l’altro e limitare sé stesso... Se siamo abituati alla flessibilità e all’adattamento in un campo, riusciremo a trasferirli anche in altri campi migliorando la capacità di studio, di esplorazione, il sapere, la competenza spendibili poi lungo il corso della vita”.
Marco Rossi Doria prosegue evidenziando come anche la povertà materiale sia una variabile che influenza fortemente la povertà educativa: “oggi su 9 milioni e 400 mila bambini e ragazzi, di cui il 10% stranieri, quasi 1 milione e 300 mila sono in povertà assoluta”. In concreto, ciò vuol dire che una famiglia di 4 persone vive con circa 1000 euro al mese o meno, che non sono sufficienti a soddisfare i bisogni essenziali come cibo, acqua, riparo e vestiti. A fianco di questi bambini, ce ne sono altri 2,2 milioni in povertà relativa, cioè il loro reddito è inferiore al reddito medio, che vivono in una situazione di marginalità rispetto alla possibilità di soddisfare standard di vita considerati normali nel loro contesto sociale, come avere un computer in casa, andare in vacanza, visitare un museo, praticare uno sport: “questa grave condizione si traduce in maggiori conflitti in famiglia, solitudine, isolamento, rischio dal punto di vista alimentare, sanitario, dipendenze, criminalità. Queste situazioni – spiega Rossi Doria - spesso si ritrovano all’interno di quartieri dove sono preponderanti modelli che comportano rischi. Se poi si aggiunge un altro problema, come un nonno malato, un fratello o una sorella con disabilità o un disturbo dell’apprendimento, allora la situazione diventa insopportabile”.
Statistiche ed evidenze empiriche ci dicono che tutto questo si riversa immediatamente sul rendimento scolastico. La scuola assolve il ruolo di principale presidio per risollevare la situazione, insieme ai luoghi dello sport, agli oratori e alle parrocchie, che possono compensare quella “povertà all’inizio della vita” che pone i bambini, ai nastri di partenza della vita, già in una posizione di svantaggio. Prosegue il Maestro: “se sei intelligente e hai imparato le competenze di base, grazie alla scuola puoi riscattare la tua situazione personale. Questo ascensore sociale si è rallentato in Italia rispetto agli anni 70-80. Quindi la povertà da questo punto di vista non riguarda solo la difficoltà di crescita dei bambini e dei ragazzi, ma anche la determinazione della ricchezza nazionale: un paese che ha meno persone competenti nei diversi campi, che hanno studiato di meno, che sanno di meno, è una società fortemente zavorrata”.
Ad oggi la povertà educativa non è al centro dell’attenzione della società, della politica, dei media: “quando è arrivato il Covid e si parlato dei lavoratori, dei malati, ma poco dei bambini, della loro solitudine, della depressione degli adolescenti”, spiega Marco Rossi Doria. “Questo sta producendo molte sofferenze di cui vediamo la punta dell’iceberg all’onore o al disonore della cronaca. Dovremmo rispettare tutto questo mettere in relazione chi si occupa di bambini e ragazzi nei diversi luoghi, creando le comunità educanti, persone che insieme, nel rispetto dei differenti ruoli, hanno una visione comune e diffondono messaggi coerenti ai ragazzi per promuovere valori comuni e regole condivise”
Il Maestro Marco Rossi Doria ci lascia tre consigli per agire concretamente nel contrastare questo fenomeno: “la comunità educante deve investire perché bambini e ragazzi diventino capaci di gestire spazi, tempi e abbiano cura per le proprie cose. Iniziando da sé potranno trasferire alla collettività quanto imparato. Molto importante è anche distinguere nei linguaggi e nei comportamenti il dovere dal piacere, il divertimento dal lavoro. Imparare a non mischiare le cose. E per concludere, prendersi cura dei momenti condivisi, lo stare insieme che va recuperato”.