Lo spazio della creatività e dell’immaginazione

Nel rapporto terapeutico non sempre la pista giusta è quella più battuta: spesso infatti sono i pazienti che, con le loro indoli e passioni, suggeriscono la strada da intraprendere.

Uno dei punti fermi su cui si fonda la società moderna occidentale è la certezza. Tendiamo tutti a cercare conforto nella razionalità e nella scienza per spiegare ciò che ci circonda, perché l’idea di vivere nel dubbio e nell’incertezza ci spaventa profondamente. Molto spesso ci approcciamo al mondo considerando validi i binomi giusto-sbagliato, sano-malato, tipico-atipico, dimenticandoci che la realtà è molto più sfaccettata e che tra il bianco e il nero esistono infinite sfumature di grigio.

Giustamente, il nostro lavoro da professionisti sanitari ci spinge ad essere affamati di scienza e alla continua ricerca di occasioni per formarci e aggiornarci. Questo ci permette senz’altro di operare con competenza e professionalità, ma bisogna considerare anche l’altro lato della medaglia. Ogni buon terapista infatti sa che qualsiasi metodo, approccio o strumento non deve essere idealizzato e considerato valido a priori; criticare e avere dubbi è sano, perché ci permette di avere uno sguardo aperto e flessibile, in grado di riconoscere ciò che c’è di buono in ogni metodo e di mescolarlo insieme per fornire ai nostri pazienti interventi che siano il più possibile efficaci e personalizzati. Credo che proprio qui sia racchiusa la più grande sfida per noi terapisti: dare spazio a creatività e immaginazione per riuscire a puntare sull’improbabile. Spesso infatti sono proprio i pazienti che, con le loro indoli e passioni, ci suggeriscono la strada da intraprendere; bisogna però essere in grado di porsi in una condizione di ascolto, per riuscire a cogliere questi stimoli e per favorire l’impostazione di un percorso riabilitativo individualizzato, che abbia come obiettivo quello di esaltare le risorse personali e l’enorme potenziale umano racchiuso in ognuno dei nostri bambini. Nel mio lavoro interpreto “l’improbabile” come una spinta a ricercare continuamente strade alternative per raggiungere i miei obiettivi riabilitativi. Chi cammina in montagna sa che spesso non esiste un’unica via per raggiungere la cima, ma si possono intraprendere diversi percorsi che variano per lunghezza, pendenza e qualità del terreno. A volte un sentiero può essere una scorciatoia, altre volte invece un vicolo cieco. Ma sta a noi trovare ogni volta la strada migliore su cui camminare al fianco del paziente per aiutarlo a raggiungere la meta.

Un’altra sfida importante è quella di aiutare anche le famiglie dei nostri bambini a credere nell’improbabile. Penso ad esempio a quanto possa essere inizialmente difficile e destabilizzante per dei genitori accogliere la CAA (comunicazione aumentativa alternativa) all’interno del percorso riabilitativo del proprio figlio, in quanto si discosta da quelle che vengono in genere considerate le “normali” modalità di comunicazione. Noi terapisti abbiamo quindi il compito di accompagnare queste famiglie, per aiutarle ad avere fiducia anche in ciò che ai loro occhi risulta poco convenzionale, ma che può costituire un’enorme ricchezza per i loro bambini.

Vorrei concludere ricordando che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il concetto di salute come “una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o infermità”. Dunque un ambiente più o meno favorevole gioca un ruolo fondamentale nella definizione dello stato di salute di ciascuno di noi. Sono fortemente convinta che la vera inclusione parta proprio dalla capacità di saper immaginare soluzioni improbabili.

Alessia Zovi

Logopedista La Nostra Famiglia di Vicenza