Luigi Piccinini, primario di Riabilitazione funzionale pediatrica, ha ideato il progetto Ars Medica, per portare le opere d’arte in ospedale. La prima è quella di Marco Nereo Rotelli.
«Gioia e dolore hanno il confine incerto, nella stagione che illumina il viso». La frase di Fabrizio De André, cantata in Ave Maria (1971, da La buona novella) si espande, come una preghiera a colori, al centro di una grande opera firmata da Marco Nereo Rotelli.
Il quadro è il primo del progetto Ars Medica, ideato da Luigi Piccinini, primario del reparto di Riabilitazione funzionale dell’Istituto scientifico Eugenio Medea di Bosisio Parini (Lecco), un centro di riabilitazione pediatrica che si occupa di curare bambini affetti da lesioni cerebrali congenite e acquisite, e ospita ricoveri — appunto — riabilitativi. Il progetto vuole portare all’interno dell’ospedale un’arte dal valore simbolico e salvifico, grazie agli artisti che si metteranno a disposizione gratuitamente, per regalare un sollievo alle famiglie che passano lunghi periodi in questi luoghi, dove spesso si consuma il dolore.
«I bambini vengono in ospedale accompagnati dai genitori — spiega al “Corriere” Piccinini — per il recupero di funzioni che hanno perso o a causa di lesioni o per interventi chirurgici che hanno subito. Per questo ho pensato di abbellire gli spazi, non solo dal punto di vista estetico». Per superare le classiche immagini «riempitive» dei reparti di degenza pediatrica, «ho immaginato un salto di qualità per comunicare anche con il genitore, un sostegno che chiamerei estetico-emotivo», racconta ancora il primario. «Per cui sto chiedendo ad alcuni artisti di realizzare un’opera significativa. La mia idea iniziale era quella di avere dei disegni sui muri, in modo che l’opera facesse parte dell’ospedale e non fosse commercializzabile». Così il titolo Ars Medica mette vicine la medicina, «scienza che dovrebbe lasciare poco spazio alla fantasia e all’immaginazione», all’arte, che si affida a un concetto più astratto. A volte consolatorio.
Marco Nereo Rotelli (Venezia, 1955), pittore e scultore, lavora anche con le luci e fa dialogare le figure e le diverse tipologie di sapere in giochi visivi e poetici (l’artista ha realizzato la copertina de «la Lettura» #89 del 4 agosto 2013). La tecnica della sua opera però non poteva essere realizzata su muro, dunque Rotelli ha regalato un quadro monumentale, 6 metri quadrati di tela, dall’emozionante impatto visivo. «Ho scelto Rotelli perché è un pittore concettuale, lavora molto sulla parola e avevo a cuore l’idea di far passare un messaggio verbale; e che ci fosse un’interrelazione fra la parola, l’immagine, il contenuto. Quindi abbiamo scelto la canzone di De André perché il quadro, che è appena stato fissato all’ingresso del reparto, possa dare un messaggio ai genitori dei piccoli pazienti, e in particolare alle mamme. Dato che questa canzone è un inno alla maternità», un conforto simbolico per le numerose madri che passano da lì.
Un’opera che può essere letta su più livelli, ha spiegato Piccinini: un primo impatto è visivo e rimanda subito ai colori, alla grandezza; poi si intravedono le parole, e ci si domanda quale sia la loro origine, scoprendo che si tratta di una canzone, per poi arrivare ad ascoltarla. Un percorso che dall’immagine si fa consolazione, pensiero, musica. «È un processo non proprio immediato ma di coinvolgimento graduale dell’osservatore. In qualche modo Rotelli riprende l’idea di Giordano Bruno delle imagines agentes, cioè le immagini in grado di creare pensieri, anche quando ti allontani dal quadro, e che continuano a lavorare dentro di te per tirare fuori quello che hai».
Accanto all’opera, fa sapere il primario, sarà aggiunta una legenda Qr code, grazie alla quale si potranno avere informazioni sull’autore e, in questo caso, sulla canzone. Gli artisti futuri non sono ancora confermati ma ognuno di loro darà la sua interpretazione del senso di Ars Medica.
Un’offerta artistica nel segno della rigenerazione che, nel binomio Rotelli-De André rende omaggio alle famiglie strette nel dolore, e in particolare a quella miracolosa «stagione di essere madre».
Jessica Chia
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 5 novembre 2020