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La carezza dei robot

Protagonista di romanzi, film e cartoni animati, la robotica è entrata nel nostro immaginario e nella nostra vita, fino a sostituire l’uomo nell’esecuzione di compiti complessi. Con tante aspettative e qualche piccola inquietudine… 

Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo do?

(Ascolta la ninna nanna delle mamme ingegnere dell'IRCCS Medea!)

Cullata dalla voce cantilenante che legge una meravigliosa filastrocca, la bimba assonnata si addormenta dolcemente nel suo lettino, mentre la mano della tata robot la accarezza sulla testina.

Quando sentiamo la parola robot, subito con la nostra mente andiamo all’idea di un essere meccanico dalle fattezze antropomorfe, in grado di svolgere attività che normalmente vengono svolte da un essere umano.

Con queste sembianze i robot sono entrati nel nostro immaginario e li troviamo protagonisti di romanzi, film, cartoni animati, opere teatrali. Isaac Asimov, nel 1942, arriva perfino a teorizzare le Tre leggi della robotica, una sorta di Decalogo applicato ai robot.

In realtà i robot antropomorfi sono solo uno dei settori di ricerca su cui il mondo della robotica sta oggi lavorando e per il momento sono ancora allo stadio prototipale robot dalle fattezze animali ed umane che funzionino ad esempio come compagnia o come badante in casa degli anziani, immaginando un futuro non troppo lontano in cui l'età media sarà sempre più elevata e sarà sempre più difficile garantire assistenza alle persone che ne hanno bisogno.

Più in generale un robot è una macchina che può sostituire l’uomo nell’esecuzione di un compito, sia dal punto di vista dell’attività fisica che dal punto di vista dell’attività decisionale svolta.

Nel campo industriale i robot sono utilizzati da decenni. Si è passati da manipolatori multifunzionali che erano in grado di imparare movimenti ripetitivi e meccanici, sgravando l'operaio da lavori alienanti come ad esempio sulle catene di montaggio, a sistemi sensorizzati cooperativi, che affiancano il lavoratore nelle operazioni manuali, decifrandone le intenzioni e adeguandosi ai gesti compiuti dal lavoratore stesso, in sintonia di movimenti.

Nella sanità sono presenti da tempo robot chirurgici, che operano sui tessuti del paziente in sala operatoria, con una precisione ed una sicurezza paragonabili a quelle di un chirurgo.

E in riabilitazione esoscheletri motorizzati aiutano il paziente, anche pediatrico, a recuperare o migliorare le sue capacità nel compiere gesti a volte semplici a volte complessi, come può essere il camminare.

La ricerca sui robot sta aprendo scenari ancora più straordinari, come ad esempio la possibilità di impiantare in pazienti amputati arti artificiali robotizzati controllati direttamente tramite il proprio sistema nervoso e in grado di dare sensazioni tattili e termiche, quasi fossero parti naturali del corpo. Arti artificiali che assomiglieranno sempre di più ad arti naturali, con lo scopo di garantire funzionalità e inclusione.

Se dunque originariamente il robot era governato dall’uomo solo per mezzo di leverismi, joystick, manopole o computer, oggi sempre di più si disegnano scenari in cui persona e robot entrano in contatto fisico. E non è un contatto banale.

A ben riflettere, l’idea di affidarsi alle mani di un robot qualche inquietudine la genera.

Sono mani fredde, metalliche, anche se talora rivestite da materiali sintetici sempre più simili alla pelle, dotate di una forza potenzialmente in grado di procurarci danno, se male impiegata, e per di più governate da algoritmi matematici e non da una mente umana.

E se la macchina si viene a trovare in una situazione imprevista? Come reagirà? Cosa deciderà di fare l’algoritmo? Se il mio collega operaio robot non decifra correttamente la mia intenzione e mi urta? Se l’esoscheletro riabilitatore, che è pilotato da un cervello computerizzato, mi provoca dolore? Un terapista è in grado di modulare o fermare il suo gesto, se si accorge che mi provoca sofferenza, ma una macchina come si comporterà? Se il mio braccio bionico decide di sua iniziativa di fare un gesto sconveniente?

E' verosimile che questi pensieri e preoccupazioni attraversino l'animo di chi si trovi ad interagire per obbligo o necessità con dei sistemi robotizzati.

Nel campo della salute la questione si fa ancora più delicata, perchè il paziente si trova sempre in posizione di debolezza e si sente spinto a vincere le paure e i timori che connotano qualunque percorso terapeutico, pur di ottenere qualche beneficio.

Se si parla di robot, poi, l’aspettativa di beneficio è particolarmente elevata, come se i robot avessero proprietà terapeutiche straordinarie.

Come ingegneri che lavorano in un IRCCS all’avanguardia nella ricerca tecnologica applicata alla riabilitazione, ci sentiamo però di affermare che ogni riabilitazione robotizzata deve sempre essere affiancata da una riabilitazione effettuata da terapisti. Solo con un altro essere umano si creano infatti quella tensione e quell’empatia che non sono riproducibili in una macchina e che sono probabilmente ingredienti fondamentali per rendere realmente efficace un intervento terapeutico-riabilitativo.

Il futuro è tutto da scrivere. Forse i robot e gli arti bionici diventeranno oggetti di uso comune nelle nostre vite, al pari di un frullatore o di un paio di occhiali da vista. E forse addirittura diventeranno oggetti del desiderio, oggetti da farsi impiantare per diventare più attraenti.

Come ha vagheggiato Annika, una ragazza di 13 anni nata col braccio destro solo parzialmente sviluppato e che indosserà un braccio bionico sperimentale, tutti vorranno darle la mano e le chiederanno “E’ proprio bello il tuo braccio, dove l’hai preso? Posso averne uno anch’io?”

Gianluigi Reni e le mamme ingegnere dell’IRCCS Medea: Emilia Biffi, Chiara Genova, Paola Grigioni, Elisabetta Peri, Caterina Piazza

Nella foto: nel 2015 lo scozzese Josh Cathcart, 9 anni, nato senza mano, ne riceve una "bionica".

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