La ragione non è l’unica via per la fede
Una riflessione sulla vita spirituale delle persone con disabilità intellettiva grave, un invito a partecipare al forum “Io credo”.
Le persone con disabilità intellettiva grave hanno una vita spirituale? Se sì, come rispettarla?
Se l’evoluzione culturale ha permesso di riconoscere ad ogni persona i diritti fondamentali, tuttavia le persone che presentano una disabilità intellettiva grave vengono spesso inconsapevolmente considerate meno capaci di “credere” e di essere protagoniste dell’evangelizzazione.
“Eppure nel Vangelo Gesù ripetutamente sceglie i poveri, i semplici, i meno capaci, gli esclusi, per i suoi gesti di guarigione e di misericordia” sottolinea Carla Andreotti, Piccola Apostola della Carità impegnata da anni nel campo dei servizi alla persona, autrice del libretto “Io credo! Una riflessione sulla vita spirituale delle persone con disabilità intellettiva grave”.
Gli studi più recenti delle scienze umane – spiega Andreotti - mettono in luce che la razionalità non è la caratteristica unica ed essenziale dell’uomo, ma lo è piuttosto l’essere in relazione con gli altri.
Così, se la vivacità dell’intelligenza può portare le persone ricche di capacità ad interrogarsi e a ricercare spiegazioni razionali impegnative, che supportino la libertà del loro atto di fede, talvolta esse non riescono ad approdare a quella particolare sensibilità al trascendente che tocca soggetti con notevoli compromissioni nella capacità intellettiva. Sembra infatti che questi percepiscano il divino quando, ad esempio, sono colpiti e gratificati da esperienze di bellezza della natura, da relazioni di amore e di cura, da situazioni gioiose di partecipazione ad eventi comunitari, dall’ascolto della musica, quando si trovano in un ambiente sacro e dimostrano con il loro atteggiamento di coglierne il valore simbolico.
Come tutto ciò che costituisce l’identità della singola persona incontri Dio, rimane un mistero che accumuna ogni uomo, che abbia o non abbia delle disabilità. Forse si può affermare che nelle persone con disabilità la sensibilità al trascendente è addirittura maggiore, perché liberata dalle barriere che la ragione talvolta costruisce.
“Sono d’accordo con la responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Cei suor Veronica Donatello, quando dice che le persone con disabilità sono gli hacker di Dio, mandati sulla terra a mettere in crisi le falle e i limiti delle organizzazioni sociali esclusive – continua Andreotti -. Dobbiamo imparare a considerare le condizioni della disabilità come il segnale di un problema di incapacità della nostra società, che oggi non è organizzata per essere a misura di tutti”.
“Mi piacerebbe sollecitare il racconto di storie di fede sperimentate nella relazione con tante persone con disabilità. Vorrei che fossero loro stessi o i loro genitori e amici a raccontarlo. E potrebbero farlo anche coloro che, grazie alla testimonianza delle persone con disabilità, hanno incontrato la fede”.
Si tratta di aprire uno scrigno di tesori che appartiene a tutti.
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“IO CREDO!”
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