Ascoltare in modo empatico significa prestare attenzione anche ai segnali non verbali, come l’espressione del volto, il tono della voce e i movimenti del corpo.
Mi capita spesso di fermarmi a pensare e a riflettere sulla condizione dell’uomo moderno, della sua esistenza intesa come “modo di essere nel mondo” ed emergono spesso immagini di un uomo che nella quotidianità è di corsa e in corsa magari senza sapere la direzione perché spesso assorbito dal fare, fare bene e il più velocemente possibile. In questa mia personale rappresentazione emerge una visione dell’uomo piuttosto individualistica, un uomo poco interessato e orientato all’altro, al suo ascolto. E’ vero che ogni giorno siamo letteralmente bombardati da fiumi di notizie spettacolari, purtroppo spesso negative ma se qualcuno ci mette nella condizione di fermarci per ascoltare, ne siamo veramente capaci? Oggi la nostra comunicazione spesso si realizza solo sul piano del mero scambio di informazioni relative a cose da fare e come farle o come trovare una soluzione a un problema, ma si avverte la difficoltà a condividere le emozioni che colorano la nostra vita e danno unicità al nostro essere persone in relazione. Mi chiedo: quanto siamo autenticamente interessati all’altro? E quanto siamo capaci di porci in una autentica relazione di ascolto con l’altro?
Le due parole chiave sono l’altro, inteso come nostro figlio, madre, padre, marito, amico, collega o insomma ciascuna delle persone che incrociamo durante il cammino della nostra vita e la parola ascolto che non è “udire” o semplicemente conversare, ma prestare attenzione all’altro, sintonizzarsi con i suoi desideri o bisogni, i suoi stati emotivi, leggendone i pensieri. Ascolto è “Io sono con te e sono qui per te”. Nel vero ascolto, si realizza il decentramento dal proprio ego e ci si pone in condizione di ascolto, che consente all’altro di essere riconosciuto, rispettato, compreso e accolto senza preconcetti e pregiudizi.
L’incontro con l’altro, spesso, diventa un’opportunità per la nascita di una relazione profonda in una cornice, all’interno della quale l’ascolto si configura sia come prerequisito necessario per la nascita di una relazione significativa, ma anche come motore che alimenta la crescita e ne cura la relazione stessa, dove si sceglie di condividere la propria intimità psicologica nella misura in cui ci si fida e ci si affida all’altro
Possiamo definire l’ascolto come un “ABC” della relazione umana dove entrambe le persone si ritrovano a vivere un dono condiviso che nutre sicuramente la persona ascoltata ma, al tempo stesso e con la stessa intensità, nutre e appaga la persona che si presta ad ascoltare. Nell’ ascolto non doniamo semplicemente il nostro tempo ma soprattutto una porzione del nostro mondo emozionale, che consente di collegarci, sintonizzarci con il mondo interiore dell’altro, legandoci in una relazione di riconoscenza e di reciprocità.
Se pensiamo poi alla relazione d’ascolto con il bambino, la pensiamo speciale, unica ed irripetibile nella misura in cui l’adulto riesce ad abbassarsi al livello di quel bambino e riesce a individuare la chiave di accesso al suo modo di comunicare ed esprimersi. Riuscire ad ascoltare quel bambino significa sintonizzarsi con lui ovvero riuscire ad avere connessione profonda con i suoi stati affettivi, al di là dei suoi comportamenti manifesti. Nella relazione con il bambino, a prescindere dalla sua età, l’ingrediente base è la sintonizzazione affettiva, strumento potente di conoscenza. Ascoltare in modo empatico significa non solo prestare attenzione alla dimensione verbale ma anche a tutti quei segnali non verbali come il contatto oculare, l’espressione del volto, il tono della voce, la postura e i movimenti del corpo. Significa prestare attenzione alla risonanza che quei segnali hanno in noi che ci permette di vedere profondamente il nostro piccolo interlocutore e di offrire e lui la prova del sentirsi ascoltato. Pertanto l’ascolto va al di là delle parole e del ragionamento verbale: ascolto significa rimanere aperto agli altri e a se stesso. Antonie De Saint Exupery nel suo libro “il piccolo Principe” scrive “Non si vede bene che con il cuore”, “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Con l’augurio che il nostro cuore guidi, avvicini le persone e renda possibile la curiosità e il desiderio di ricerca e ascolto autentico dell'altro.
Sara Biscozzi
Psicologa
La Nostra Famiglia - Lecce