L’esperto Massimo Molteni (La Nostra Famiglia): «Nella seconda ondata più arrabbiati e impauriti»
Un altro pezzo importante della nostra comunità, messo a dura prova dalla pandemia, è stato quello dei ragazzi e delle ragazze disabili e delle loro famiglie. La pandemia ha influito sulla vita di tutti, ma ha messo particolarmente in risalto i problemi e le necessità di queste persone. Per capire cosa abbiamo fatto in questo periodo complesso per rispondere ai bisogni di socialità, assistenza, riabilitazione e inclusione di questi ragazzi, abbiamo coinvolto il dottor Massimo Molteni, direttore sanitario della Nostra Famiglia di Bosisio Parini.
Come avete reagito di fronte alla pandemia e all’impossibilità di relazionarsi in modo tradizionale con i vostri ragazzi?
E’ un tema molto complesso, che ha messo tutti a dura prova. La prima fase della pandemia ci ha colpito di sorpresa, è stata una specie di K.O. generalizzato. Si è verificata una situazione emergenziale che ha portato all’arresto delle attività a favore dei bambini disabili. In questa fase va detto che la risposta lombarda, in primis della Regione, è stata abbastanza rapida e abbiamo iniziato delle attività di supporto da remoto. In questo modo, si è creata una sorta di porta, di aggancio con i nostri ragazzi, che ha richiesto il coinvolgimento dei genitori. Si è trattato di uno scambio a volte intenso, che ha permesso di supportare i bambini con disabilità e le loro famiglie.
I ragazzi hanno retto a questa nuova forma di contatto?
Entrando nelle case, grazie alla tecnologia, ci siamo accorti di quanto contassero le condizioni di agibilità per contrastare il lockdown. Bastava un balcone o un giardino perché la situazione cambiasse completamente. E’ vero che la pandemia ha colpito tutti in modo “democratico”, ma la possibilità di avere più o meno risorse ha accentuato o diminuito le difficoltà incontrate in questo periodo.
Che cosa è cambiato con la seconda ondata del virus?
A giugno, sia pur con grande attenzione, nel rispetto rigoroso delle regole, abbiamo ripreso le attività, ma in autunno la seconda ondata ha colpito tutti in modo diverso: si è più arrabbiati e impauriti. Le conseguenze sui bambini ci sono state. Molta parte dei trattamenti sono stati ridotti o modificati. Si sono dilazionati nel tempo i nuovi accessi e le attività possibili hanno tempi ridotti e altre non sono praticabili. Ancora adesso le attività in presenza riguardano solo gli imprescindibili.
Possiamo dire che si va avanti ma con fatica?
La fatica è grande per tutti, ma va anche detto che in mezzo a tutte queste difficoltà, una certa parte dei nostri bambini ha risposto molto positivamente: ha accettato l’uso della mascherina e compreso perché gli educatori o i medici siano bardati in modo tale da essere difficilmente riconoscibili.
Nel lungo periodo, ci saranno conseguenze sui ragazzi?
Difficile dire quali saranno le conseguenze. Prevedo che questa sosta forzata necessiterà di un ripensamento sulle cure e si dovrà considerare un aiuto alle famiglie.
A questo proposito, come hanno reagito i genitori?
Abbiamo valutato l’impatto sulle famiglie. Nei ragazzi è aumentato lo stress, ma alle famiglie è stata chiesta la capacità di sopportare un carico aggiuntivo. Anche qui si è notato che le famiglie con maggiori risorse e meglio inserite nella comunità, hanno retto meglio. Del resto, è emerso nuovamente come il supporto alla famiglia dell’intera collettività sia fondamentale.
Se le famiglie percepiscono di essere inserite dentro una comunità attenta e solidale, allora anche la tenuta dei ragazzi è migliore. Quando il sistema non regge anche la condizione dei bambini peggiora.
La tecnologia ha aiutato a tamponare questa situazione di emergenza. In futuro quale sarà il suo ruolo?
Nel campo della disabilità la tecnologia servirà, perché offre delle opportunità. La tecnologia darà un grande aiuto se capiremo che il benessere del ragazzo e della sua famiglia dipende dai rapporti umani e dall’inserimento virtuoso della famiglia stessa dentro la società. Spero si sia capito che la salute non è solo ipertecnologia. Mi auguro si esca dalla logica delle prestazioni, non bastano le medicine e la somma di esami. Per il benessere di tutti e in particolare dei più fragili, come i bambini disabili, è fondamentale che una collettività comprenda che la realizzazione di ciascuno è legata ad un contesto sociale, alla sinergia tra scuola, lavoro, quartiere. La tecnologia è importante, ma lo è ancora di più l’integrazione sociale. Insomma, non è sufficiente che io stia bene, se gli altri stanno male.
GIANFRANCO COLOMBO
(intervista pubblicata su La Provincia di Lecco del 20 gennaio 2021)